Pagina:Dopo il divorzio.djvu/115

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ricevette direttamente la notizia. Pianse in silenzio, nascondendosi, e davanti ai compagni di lavoro e di sventura volle mostrarsi forte. Arnolfo Bellini, quello che aveva l’amante ammalata, saputa la disgrazia del condannato sardo, cominciò a piangere in modo strano, con certi strilli da gallina; e il suo visetto grigio di bambino vecchio era così ridicolo nel pianto, che l’abruzzese, quello che litigava sempre col fratello, si mise a ridere. Un altro condannato punse con la lesina la coscia dell’abruzzese. Costui cessò di ridere e trasalì, disse — ahi! — e non protestò.

Costantino guardò meravigliato il Bellini, scosse il capo, si mise a lavorare. Tutti tacquero, e il settentrionale si calmò perfettamente. Sotto la volta bassa biancheggiava una luce cruda, proveniente dal cortile ombreggiato: il caldo intenso traeva un acuto odore dal cuoio, dalle mani sudate e dai piedi dei condannati.

Questi condannati erano tredici, continuamente sorvegliati da un guardiano alto, dai baffi rossi, che non parlava mai. Per la divisa, per i capelli ed il viso raso, per la stessa espressione un po’ attonita del volto, i condannati si rassomigliavano, parevano fratelli o almeno parenti; eppure mai come in quel giorno Costantino si era sentito più estraneo, più lontano dai suoi compagni di pena.

Egli cuciva, cuciva, curvo, con una scarpa fra le gambe, sul grembiale di cuoio. Di tanto in tanto guardava attentamente la scarpa, poi tornava a cucire, tirando lo spago con ambe le mani, quasi rab-