Pagina:Dopo il divorzio.djvu/121

Da Wikisource.

— 115 —


A Costantino pareva di non averne parlato mai. Ma aveva le idee tanto confuse, da qualche tempo in qua! Oh Dio buono, o San Costantino bello! Come aveva fatto a parlare di colui?

— Ebbene sì, — proruppe, — ho paura. Egli le ha fatto la corte, la voleva in isposa. Ah, è un ubbriacone, scipito come il fango. No, essa non farà mai quella cosa orribile. Parliamo d’altro, per carità.

E parlarono d’altro, sempre in dialetto sardo per non farsi capire dagli altri condannati; parlarono dello studente tisico che andava sempre più avvicinandosi alle porte dell’altro mondo, di Arnolfo Bellini che piangeva stupidamente ogni volta che vedeva lo studente, del Delegato che passeggiava intorno alla fontana, della gazza che dimagriva e perdeva le piume per vecchiaia.

Pettegolezzi, odii, rancori, amori, vigliaccherie, scherzi, stringevano, univano, spingevano i condannati, fra loro, coi guardiani, coi superiori. Costantino rimaneva insensibile a tutto. Egli, lo studente e il Delegato, parevano vivere in disparte da tutti gli altri, avvicinandosi soltanto all’ex-maresciallo, che era il pernio di quasi tutti gli avvenimenti segreti del penitenziario, e che rimaneva superiore a tutti, indispensabile a tutti.

Molti invidiavano la famigliarità che egli concedeva a Costantino, e pregavano costui d’interporsi presso il re di picche per certi favori. Il condannato alzava le spalle. Alcuni gli offersero denaro, ed egli fu tentato di prenderlo, vinto dalla smania ango-