Pagina:Dopo il divorzio.djvu/146

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un lungo e larghissimo soprabito nero, che pareva un mantello con le maniche: il suo piccolo viso roseo e tondo, dai baffetti biondastri, esprimeva una contentezza egoista da bambino lattante.

Domandò subito cosa c’era da mangiare, poi si degnò sedersi presso zia Bachisia, e chiacchierò fino all’ora della cena.

Dopo di lui rientrò, rossa, ansante e scarmigliata, la nipotina Minnìa, che andò a buttarsi seduta presso la serva (l’altro bambino era morto da tre anni), vestiva benino, di flanellina rossa e nera, ma aveva le scarpe rotte, le mani sporche. Ritornava da un orto attiguo, ove scorrazzava tutto il giorno; e subito cominciò a confabulare con la serva, confidandole qualche cosa con voce bassa e ansante.

— Anima mia! — rispondeva la serva sullo stesso tono.

Poi rientrò zio Efes Maria col suo faccione di marmo vecchio e le grosse labbra aperte, e volle andar subito a cena. Nella stanza da pranzo scintillavano due alte credenze di legno giallo: l’ambiente era discretamente signorile, con corsie sul pavimento, stufa, ecc. Zia Porredda, coi suoi grossi piedi dalle scarpe ferrate ci si muoveva a disagio: zio Efes Maria non rifiniva di guardarsi attorno con compiacenza; Grazia, alta, elegante, si seccava ogni volta che i parenti penetravano là, ove ella leggeva avidamente la Moda Unica, la Piccola Parigina e la parte mondana, anzichenò immoraletta per i cattivi sogni che fomentava, di un giornale per le famiglie. Ah quegli abiti scollati, ricamati di capelli, quelle