Pagina:Dopo il divorzio.djvu/147

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giacchette a thait trapuntate d’oro, quelle camiciette con le grandi ali di merletto d’argento e di brillanti chimici simili alla rugiada, ah quei cappelli di frutta, e i lunghi boa di fiori, e le trine per sottane, a trenta lire il metro, e i guanti dipinti, ed i ventagli di pelle umana!... ah come tutto ciò era bello, orribilmente bello, terribilmente bello! Ecco, leggendo quelle cose si provava come un sogno spasimante, tanto erano belle. Dopo aver letto ciò, tutto il resto pareva brutto, e la buona nonna, dal viso di vecchio grasso, e il nonno imponente che si guardava intorno con contadinesca compiacenza, erano semplicemente seccanti.

Come in una sera lontana, zia Porredda entrò portando in trionfo i maccheroni fumanti. E tutti si sedettero attorno alla mensa ospitale.

Zia Bachisia sedette all’ombra delle ali di Grazia, e ricominciò a far le sue meraviglie appunto per quelle ali.

— No, da noi non se ne sono viste mai; già che signore non ce ne sono, da noi. Qui sembrate tutte angeli, le signore...

— O pipistrelli... — disse zio Efes Maria. — Eh, la moda, cari miei! Ecco, una volta, mi ricordo, quando ero bambino, le signore erano grandi e rotonde, che sembravano capanne. Ce n’erano poche allora, signore. La moglie dell’intendente, le dame...

— E poi quella cosa dietro... — interruppe zia Porredda — ah, mi ricordo, pareva una sella. Ebbene, sì, voi non lo credete, in fede mia, ricordo che una volta uno ci si sedette sopra...