Pagina:Dopo il divorzio.djvu/163

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Ma egli andò oltre, in punta di piedi. Giovanna, ritta davanti al cassetto aperto, rileggeva una lettera che, rientrando dal viaggio, madre e figlia avevano trovato sotto la porta, introdotta nella fessura durante la loro assenza. Era una lettera straziante di Costantino: coi suoi rozzi e semplici caratteri, egli supplicava Giovanna per l’ultima volta di non fare ciò che ella stava per fare. Le ricordava i giorni lontani del loro amore, le prometteva il ritorno, le giurava la sua innocenza. «Se non vuoi aver pietà di me — concludeva — abbi pietà di te stessa, dell’anima tua; pensa al peccato mortale, pensa all’eternità».

Ah, le stesse parole di zia Porredda, le stesse, le stesse! La lettera doveva averla introdotta zio Isidoro, giacchè Giovanna, da lungo tempo non riceveva più direttamente notizie del condannato. Le lagrime le velavano gli occhi: e chi sa? forse ella si commuoveva più al ricordo del passato che al pensiero dell’eterno avvenire. Ad un tratto sentì l’uscio girare lievemente ed una persona entrare furtiva; si chinò rapida, fingendo frugare entro il cassetto, con le mani tremanti e gli occhi velati.

Brontu le fu dietro, a braccia aperte, la cinse per le spalle, ed ella finse spaventarsi e si scosse.

— Che fai, che fai? — egli chiese con voce sommessa, commossa.

— Ah, cerco... cerco... il grembiale per tua madre. Non so dove l’abbia messo! Lasciami! Lasciami! — ella disse, cercando di liberarsi dalle braccia di Brontu; ma volgendosi vide i denti di lui splendere