Pagina:Dopo il divorzio.djvu/221

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Rimase seduto, curvo in avanti, pensoso, passandosi la mano sana sul braccio malato.

— Sì, — disse ad un tratto, con la voce ansante e lamentosa dei febbricitanti — brutto sogno, ho fatto. Che caldo, San Costantino bello! Un caldo da forca. Ho sognato l’inferno.

— Che idee! che idee! che idee! — disse la sorella con rimprovero.

E zio Isidoro scherzoso:

— E c’era caldo, uccellino di primavera?

Il malato s’irritò alquanto:

— Non burlare, non dire più «uccellino di primavera». Mi fai arrabbiare. Io non lo dirò più, io non mi burlerò più di nessuno. Ascoltatemi, — disse poi, sempre a capo chino, palpandosi il braccio. — L’inferno è una brutta cosa. Io devo morire, e devo dirvi una cosa. Ecco, non spaventarti, Anna-Rosa, tanto io devo morire. E voi lo sapete già, zio Isidoro, quindi ve lo posso dire. Ecco, sono io che ho ammazzato Basile Ledda.

Zia Anna-Rosa spalancò gli occhi, spalancò la bocca, appoggiò il petto al letto e cominciò a tremare convulsivamente.

— Io non sapevo niente! — gridò Isidoro.

Allora Giacobbe sollevò il viso spaventato e cominciò anch’egli a tremare.

— Non mi farete arrestare? — disse, supplichevole. — Tanto io morirò. Lo direte poi? Io credevo che lo sapeste! Che cosa hai, Anna Rò? Non aver paura, non mi farà arrestare.