Pagina:Dopo il divorzio.djvu/81

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camerata ove Costantino lavorava si scherzava quasi sempre. Solo vi erano due fratelli, due abbruzzesi, che dopo aver chiesto in grazia di esser messi a lavorare assieme, litigavano sempre per certi interessi da accomodarsi dopo la loro condanna, cioè fra dieci anni. Un giorno si bastonarono ed uno fu portato via; scontarono due settimane di cella, poi, quando si rividero all’aria, cioè nell’ora di libertà che i condannati passavano nel cortile, si accapigliarono ancora.

Durante l’ora d’aria Costantino potè conoscere un suo compatriota, un sardo, che veniva chiamato re di picche, forse perchè aveva una figura triangolare, con un grosso corpo e due piccolissime gambe sottili; paffuto, pallido, si faceva radere i capelli in modo da parere calvo.

Era un ex-maresciallo dei carabinieri, condannato per peculato: dicevasi parente d’un cardinale, il quale era segretamente amico del re e della regina. Perciò il re di picche s’aspettava di giorno in giorno la grazia, non solo, ma prometteva di far graziare altri condannati che gli regalavano sigari, denari e francobolli. Egli era addetto all’ufficio degli scrivani; potendo quindi comunicare con l’esterno favoriva certe corrispondenze clandestine dei condannati coi loro parenti, e riusciva ad introdurre nello stabilimento danari, tabacco, francobolli, liquori, profittandone largamente.

A Costantino offrì subito la grazia sovrana e gli chiese se voleva mandare qualche lettera al suo paese.

— Sì, disse il giovine — ma io non ho nulla da darle: sono povero.