Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/12

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LA FORTUNA.

— Volete che vi dica francamente il mio pensiero? — proseguì il dottor Fabrizi imbaldanzito da due bicchieri di vin spumante. — Se il contino non piglia un'altra strada, corre un brutto rischio. La ragazza è onesta, c'è di mezzo un aspirante fidanzato, e i fratelli di lei, due colossi, il cui pugno vale una schioppettata. Badate a me. Cinque anni or sono ho assistito a un processo per omicidio, dove l'imputato era un giovanotto del popolo, garzone fornaio, e il morto un benestante, figlio del sindaco del paese. Orbene, pare che questi si fosse preso qualche libertà (intendiamoci, libertà relativa!) colla giovinetta sorella del fornaio; fatto sta che il fratello, avvertito della cosa, ha aspettato una bella sera il damerino dietro una siepe e l'ha caricato di tali pugni e pedate da lasciarlo per morto. Infatti tre giorni dopo se n' è andato all'altro mondo. Bene? I giurati hanno assolto il fratello.... E non basta! Il popolo l'ha portato in trionfo, — por-ta-to-in-tri-on-fo! — non vi dico altro!