Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/122

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ciondolava malforma, e due lunghissime mani irrequiete, l'avevano sempre considerata come una cosa sacra, come il segno visibile d'un prodigio avvenuto.

La scena — un po' fantastica, un po' storica, — della repentina conversione della sciancata alla vista della sua creatura moribonda, aveva colpito come un miracolo quelle anime semplici e proclivi ad ammettere il soprannaturale, ed aveva cinto d'una specie d'aureola la grossa testa della piccina.

Intorno alla sua culla Innocenza non aveva visto che volti sorridenti, mani solerti e amorose. Ella non aveva avuto una sola madre: tutte le suore le erano state un po' madri.

Ed oltre alle suore, anche le compagne l'avevano amata, perchè era la più piccina e la più debole. Le grandi di dieci anni l'avevano difesa dai baci e dalle carezze maldestre delle piccole di cinque; le vecchie di quattordici l'avevano protetta dalla prepotenza di quelle di dieci: qualche volta erano avvenuti serî litigi ed eran piovute lagrime di gelosia.

Innocenza aveva tardato molto a camminare. Tutte le malattie dell'infanzia si erano addensate su di lei. Fino a tre anni, ella era stata nella sua seggiolina, davanti a un panchetto, intenta a tagliuzzar carta e a formar bizzarre figure colle sue mani irrequiete; non camminava ma continuamente chiacchierava con voce acutissima ed aveva i capelli già raccolti in due treccioline lunghe e sottili come serpentelli.