Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/123

Da Wikisource.

A tre anni, un bel giorno, e precisamente il giorno di Santa Teresa, la piccola aveva lasciato la sua seggiola, e, barcollando e tentennando colla sua grossa testa fra il silenzio ansioso delle suore presenti, aveva traversato il guardaroba ed era andata a cadere davanti all'altarino, sotto il Crocefisso stillante sangue dalla sua corona di spine.

La piccina cadendo aveva battuto in uno spigolo, e piangeva, ma le suore confortandola ammiccavano fra loro con occhi lucidi e commossi; i primi passi di Innocenza erano stati rivolti verso l'altare.

E così, dai tre anni in poi, ogni tappa della vita di lei era stata accolta con commossa compiacenza, con meraviglia, quasi con orgoglio.

A sette anni, in occasione della visita del vescovo di Mantova, la piccola, vestita di bianco, coi lunghi capelli sciolti sul corpo difforme, aveva recitato una poesia di circostanza con tale accento da strappare le lagrime.

A dieci anni, nel saggio annuale, ella aveva cantato un a solo: «Ave, Maris Stella»; e le autorità di Castelluzzo l'avevano freneticamente applaudita.

A dodici, a quattordici, il giorno della dispensa dei premi, era stata sempre lei a salire per la prima la scaletta col tappeto rosso conducente al palco del sindaco, ed aveva ricevuto i più bei libri di premio, rilegati in verde, in celeste, trattenuti da un nastro. Un suo quadro ricamato a passata: «Il giudizio di Salomone», col re, le due donne, il neonato agguantato