Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
12 | la fortuna |
rotolando a testa bassa un lembo del grembiule scarlatto e riparandosi dietro quel baluardo. Ella arrossiva con imbarazzo alle declamazioni del dottore pur senza afferrarne completamente il senso; ad un tratto prese in braccio la sorella e nascose il volto fra i capelli di lei.
— Addio, addio, bella ritrosa! — rise il dottore, tirando un ricciolo della piccola che era fra le sue braccia. — Menica, siamo intesi: tatto, tatto e tatto! — e se ne andò.
Rosa depose a terra la bambinetta, e, sospirando di sollievo, si avviò verso la cucina.
— Rosa, che fai? — domandò timida la madre.
— Vado ad accendere il fuoco per la polenta, mamma.
— No, cara; — disse Menica, e arrossì, — questa sera lo accendo io.
La ragazza si voltò ed incontrò gli occhi della madre.
Ma anche la madre in quel momento guardava la figlia, e la guardava come se la vedesse allora per la prima volta e non dovesse rivederla mai più.
Un po’ più tardi, verso il tramonto, gli uomini rincasarono, e le scodelle fiorate furono disposte sul desco.
Il padre incominciò a mangiare lentamente, senza parole, coll’appetito silenzioso e quasi religioso dei lavoratori; il maggiore dei fratelli, presa la sua scodella, sedette sotto il portico sulla scala a piuoli; l’altro, come d’abitudine, sulla soglia della cucina in compagnia del gatto. Rosa si mise a imboccare la piccola.