Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/22

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la fortuna 11


se da oggi in poi sono da evitarsi.... Avete capito?

— Sissignore, — rispose ancora Menica, rossa e confusa.

Rosa si avvicinava intanto lentamente tenendo per mano la sua piccola sorella. La sua figura si delineava nitida sul gran sfondo cupo degli alberi.

Ella era alta, svelta e nello stesso tempo formosa; la perfezione delle sue forme dava anche al suo incesso una compostezza e un’armonia che colpivano.

Il volto era bello, purissimo di linea, delicato di tinte, illuminato da due immensi occhi lionati. Una gran treccia bruna incorniciava quella radiosa purità di medaglia antica. Solo le mani e i piedi, un po’ larghi e tozzi, rivelavano la razza.

Il dottore inforcò gli occhiali.

— Dio degli Dei! — esclamò. — È pur bella! Rosa, rosa, rosa di maggio, il suo nome è ben scelto! Ma che mi vengono raccontando di alberi genealogici, di quarti, di antenati, di nobiltà?... Questa è la nobiltà vera a cui m’inchino, l’unica, per Dio, che valga qualche cosa a questo mondo, la nobiltà della linea, l’aristocrazia della forma!... Dio degli Dei! Si può essere più belli di così? Di dove vi vengono, Rosa, quegli occhi? e quei capelli? e quei colori, Rosa di maggio?... Bellezza, bellezza! Per nulla gli antichi non ti erigevano dei templi!... Alma Venus!

La fanciulla si era accostata alla madre, ar-