Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/263

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Biancofiore scosse la testa bionda e sospirò.

— Sì, l'assiro, è bello, ma sa troppo di esserlo. È profumato come una donna, porta troppi anelli alle dita e troppe gemme alle vesti; i suoi capelli sono lisci come il velluto; egli ride troppo spesso per mostrare il candore dei denti: deve passare ore ed ore davanti allo specchio. Oláf è valoroso, ma è feroce, pensa sempre a guerre, a cacce, a battaglie; i sentimenti gentili non hanno presa sul suo cuore; ignora la dolcezza di una casa, non sa parlare alle donne, e non accarezza i bambini. Il greco mi piacerebbe di più, ma quando incomincia a cantare non vorrebbe più smettere; egli non ride mai, e nel lungo studio degli antichi poeti i capelli si sono alquanto diradati sulle sue tempie. Infine, per esser dotato di tanto ingegno, mi guarda con occhi troppo imbambolati.

La Fata rise, e disse a Biancofiore:

— Sei molto difficile.

La fanciulla sedette ai piedi di lei come quand'era piccina, appoggiò la testa sui suoi ginocchi e cominciò:

— Mamma di Biancofiore — (ella la chiamava sempre così quando voleva ottenere qualche cosa) -: nessuno dei principi che sono venuti a cercarmi nella mia reggia mi piace; in nessuno di essi io trovo la bellezza, il valore, lo spirito, che valgano il mio amore. Essi mi si mostrano impennacchiati delle più belle piume, accesi dalla speranza di piacermi e dalla gelosia che li tiene continuamente in gara l'uno