Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/270

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così da sembrar di toccarli. Ed una ridda incomposta e triviale apparve agli occhi di lei: ministri, cavalieri, scudieri e paggi, intorno alle tavole saccheggiate, fra le coppe rovesciate e infrante, fra i lampadari mezzo spenti, cantavano sfrenatamente e bevevano... Ma dov'era Oláf? Due gambe poderose e due enormi piedi armati di sperone sbucavano di sotto alla tavola ed una mano scintillante dell'anello reale: i cani la leccavano mugolando: il principe era ubbriaco fradicio.

Elmìr e Biancofiore ne ebbero abbastanza e decisero di partire senza aspettarlo.

E cavalca via e cavalca, per monti e per valli, per prati e per sentieri, arrivarono alla corte del re Alfeo.

— Dov'è il re?... — chiese Elmìr presentando il sigillo colle armi della sua casa.

— Il re sta recitando dei versi alla corte riunita! — rispose solennemente il gran maestro delle cerimonie. — Biancofiore respirò. Meno male!... Non ci sarebbe stato pericolo di trovarlo nello stato di Oláf. Elmìr e la scorta furono introdotti.

Alfeo stava recitando con grande enfasi un carme di sua creazione e non si interruppe. Solo quand'ebbe finito di recitare, e la corte d'applaudire, mostrò di accorgersi di Elmìr, e gli andò incontro, e gli strinse le mani con parole molto belle e molto gentili. Parve a Biancofiore che in quei pochi mesi egli fosse diventato ancora più calvo, ma non vi diede importanza, felice di trovare finalmente un uomo