Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/272

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Nondimeno, passato il primo moto di contrarietà, Biancofiore gli avrebbe perdonato, poichè ormai sapeva che in quell'argomento tutti gli uomini sono eguali, e il migliore vale il peggiore, ma un altro fatto sopraggiunse, o meglio un'altra scoperta, a metterla fuori della grazia di Dio. I versi che il re Alfeo recitava ogni sera con tanta enfasi, non erano suoi!

Decifrando una superba poesia che recava la firma e la corona di Alfeo, la fanciulla scoprì sotto i caratteri di lui l'impronta d'un altro nome: la poesia del re era la copia d'un'antica canzone! Attraverso al freddo nitore della lente la verità brillava di un duro e nudo rilievo.

Quando Biancofiore ebbe la certezza del fatto, proruppe con Elmìr in tali accenti di sprezzo e di ribellione che ci volle del bello e del buono a calmarla. Benchè ella fosse donna, era la lealtà fatta persona, e per nulla al mondo si sarebbe abbassata ad un'ipocrisia, a una viltà.

— Partiamo! — diss'ella ad Elmìr. — Non posso più respirare quest'aria! Andiamo in Assiria!

E cavalca via e cavalca, per monti e per valli, per prati e per sentieri, arrivarono in Assiria.

Era una chiara mattina, faceva un caldo tropicale, e di lontano essi videro biancheggiare la reggia e le sue cento terrazze, in un'abbagliante luce del sole.

Biancofiore istintivamente portò la lente agli occhi e guardò.