Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/277

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più intelligente della terra!... — rispose Elmìr ridendo francamente.

— Questo purtroppo è vero! — asserì con serietà Biancofiore, e di sottecchi spiò sul volto del cugino l'effetto delle poco amabili parole.

Ma egli era già lontano; aveva scorto laggiù verso il fitto della macchia, il cervo, il bel cervo dalle possenti corna, la cui presenza era stata segnalata dai cani fin dal mattino, ed inforcato d'un balzo il suo sauro a dorso nudo galoppava verso la fiera coll'arco teso e l'occhio scintillante.

....Eccolo!... Ritornava. Aveva colpito il cervo sulla fronte, fra le corna, e chiamava con un fischio i suoi uomini perchè ammirassero la bella preda. Biancofiore non si mosse. Rannuvolata e taciturna ella aspettò che il cugino la raggiungesse e non gli disse parola. E poichè dovevano levar le tende e partire, ella per la prima balzò a cavallo e si mise a galoppare davanti a tutti. Calava la notte. Elmìr non si lasciò distanziare e le fu accanto dopo pochi passi.

— Che hai, bambina?... Hai freddo? Ti senti male?

— Tu sei noioso come la nutrice, — disse sgarbatamente Biancofiore. — Temi sempre che abbia freddo, che sia malata: mi credi una vecchia d'ottant'anni?

— Io ho promesso alla Fata di ricondurti sana e salva alla reggia, e lo farò, — disse Elmìr.