Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/296

Da Wikisource.

sotto le ascelle e coll'aiuto dei suoi lo caricò sul cavallo, l'assicurò alla sella, salì dietro a lui, reggendo con una mano le redini, e colla spalla la testa del ferito.

Inerte, bianco, come se la morte avesse già sulla sua fronte impresso il suo bacio, Elmìr posava per la prima volta il capo sulla spalla di Biancofiore, ed il suo sangue inzuppava la sciarpa azzurra e colava sulle vesti e sulle mani della fanciulla. Ella non piangeva. Cautamente, senza una parola, poichè nel silenzio stava forse la salvezza, la lugubre carovana s'internò nel bosco. E cammina, e cammina, e cammina... I cavalli andavano leggeri sull'erba, quasichè fossero consci del loro còmpito, quasichè partecipassero con umani sensi alla fuga... Per ore ed ore, nel bosco nero, in un silenzio di morte, andavano, portando quel corpo insanguinato di cui ogni scossa poteva segnar l'ora ultima. E cammina, e cammina, e cammina.... Dove sostare?... dove trovare un asilo che non fosse infìdo?... Non una casa, non una fonte.... Ombra... solitudine che parevano non dover finire mai più... E cammina, e cammina, e cammina...

Finalmente gli alberi si fecero meno fitti, la natura meno selvaggia, ed un rumore strano colpì gli orecchi di Biancofiore. Era come il fruscio del vento, ma più morbido e più forte insieme, più dolce e più possente, armonïoso. E cammina, e cammina, e cammina!... Ed ecco a un tratto, improvvisamente, il mare!... Il bel mare glauco ed azzurro, sconfinato, tranquillo,