Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/300

Da Wikisource.

L'ansia aumentava di ora in ora; la sera si avvicinava.

Infine, sull'ampia distesa azzurra delle acque si delineò una fragile imbarcazione dalle vele bianche, una povera barca da pescatori. E la barca lentamente si avvicinò, si avvicinò; toccò terra, si arrestò cullandosi sulle onde calme. Una barella fu deposta sul lido e su di essa giaceva un giovinetto colla fronte sfregiata da una lunga cicatrice e la mano destra mozza; dietro a lui una fanciulla, dagli occhi stranamente profondi e azzurri, i ricci biondi intorno all'appassionato viso, le vesti semplici e disadorne, poi pochi uomini laceri e affaticati come mendicanti.

La strana comitiva si fermò sotto alle mura della città, sotto la grande terrazza di dove la Fata scrutava l'orizzonte. La fanciulla bionda staccò dalla cintura una fascia azzurra inzuppata di sangue e di lagrime e la sventolò tre volte in aria in faccia al suo popolo. La Fata aguzzò gli occhi.

— Possibile?!...

Ma il cuore del popolo riconobbe prima di lei la sua signora, e la moltitudine proruppe in un grido frenetico:

— Biancofiore! Biancofiore! Biancofiore!

La principessa alzò gli occhi e sorrise alla patria. E tosto furono spalancate le porte della città, e la Fata, i dignitari, i gonfalonieri, i banditori, le damigelle, gli scudieri, volsero incontro ai pellegrini. Sulla gran piazza, dinanzi