Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/309

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del fabbriciere e l'aroma del caffè. I canarini spiccavano sempre il volo l'uno da destra a sinistra, l'altra da sinistra a destra. L'ora del desinare raccoglieva tutti intorno alla tavola, nel tinelletto. Don Antonio tornava, recitava il «Benedicite», raccontava la sua giornata. Poi usciva nuovamente e le donne si ritiravano nelle loro stanze. Il padrigno dormiva. Il cancello del giardinetto era chiuso a chiave. Nessuno disturbava Adelaide. Nel pomeriggio ella sentiva dei passi discreti traversare la sala e allora balzava all'uscio e dalla fessura spiava l'arrivo e la partenza dei visitatori.

Oramai aveva imparato a conoscerli tutti anche senza vederli: li distingueva dal passo, dal particolare suono della voce o del riso.

— Questo che trascina i piedi è Don Giocondo.

— Questa che ha le scarpe che scricchiolano così forte è la maestra Gabetti.

— Questa risatina in gola è della moglie del farmacista.

La sera, Dorotea e Alice uscivano insieme; andavano a giocare a tombola dal fabbriciere che abitava in fondo alla piazza.

Benchè avessero, l'una, più di quarant'anni, e l'altra trentanove, vestivano ancora perfettamente eguali, come due educande. L'una e l'altra portava una mantellina di seta nera, l'una e l'altra portava le scarpe di brunello, l'una e l'altra portava una borsetta di seta viola.

Dorotea, lunga, magra, con capelli neri ondulati e lucidi, occhietti rotondi e labbra sottili,