Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/34

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cugina Grola: io tremo, tremo per quella colazione! E Ademaro ci tiene in un modo!

— Si dia pace, si dia pace, vedrà che tutto andrà bene! — predisse Giovanna.

Ormai l'ostilità della vecchia donna era caduta davanti alla dolcezza, alla bontà, alla modestia della nuova sposa. Chi poteva voler male ad una creatura che non apriva bocca se non per sorridere e per ringraziare, che non aveva volontà, che non aveva esigenze, che non aveva civetteria, disposta sempre alla condiscendenza, alla gentilezza? Le armi più acute e più velenose si sarebbero spuntate. Ella era piena di riguardi e di deferenza verso la suocera, che seguiva nelle interminabili novene, nelle interminabili visite agli altari; piena di premura e di pazienza per lo suocero cui teneva compagnia per ore e ore ascoltando senza batter ciglio ogni giorno la stessa storia sul «periodo più florido della famiglia Novelli-Casazzi». E col marito, sempre eguale, obbediente, sorridente, gentile, pronta ad accorrere alla sua chiamata, disposta a tacere e a restare nell'ombra se egli la dimenticava.

— Certo, per lei è stata una bella fortuna, — diceva Giovanna nei verbosi pranzi della servitù, — ma anche il contino Folco può baciarsi la mano dritta e rovescia per aver trovato un angelo simile! Un vero angelo di bellezza e di bontà, mentre lui, siamo giusti, per brutto è brutto, ed ha fatto una vita, ha una salute!... Libera nos, Domine!

— Ti dispiacerebbe, cara figlia, — chiese il