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Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/61

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Ignorando ch'ella sapeva, continuavano la commedia.

Ed ella diceva di sì, di sì, come un automa, cogli occhi attaccati sul figlio, occhi che ora lo vedevano lucidamente, com'era, giallastro, vizzo, un vecchietto, un agonizzante, un povero essere senza sangue cui la vita veniva lentamente mancando.... Come una fiammella senz'olio.... Ancora gli ultimi guizzi.... e poi....

Condannato.

Quella parola le picchiava sul cuore come il martello sull'incudine, ed ogni colpo lo faceva a brani.

Tutto taceva. La contessa Clemenza inginocchiata presso una seggiola colle mani giunte e la testa china, in preghiera. Le donne nella stanza accanto. Il piccolo si era assopito.

....Chi, chi parlava da lontano? Da quali profondità saliva la voce lugubre?...

Ah!... Erano essi, essi! i sette piccoli Ademari sepolti l'uno accanto all'altro nella cappella, che chiamavano nella notte!...

Essi, quei sette bambini sconosciuti che ella «vedeva» sotto la terra allineati, colle manine in croce, che chiamavano il suo tutta la notte!...

— ....Ademaro!... Ademaro!... Fratellino, vieni con noi!...

....Sette piccole bare uguali... e l'ottava, quella del suo, accanto ad esse!

Com'erano quei sette? Biondi, pallidi, cogli orecchi sporgenti, cogli occhi grigi.... Come il suo, come il suo!...