Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/63

Da Wikisource.

ed il vento di marzo or si or no portava alla madre dalle aperte finestre le cadenze del salmo.

— «....Beati immaculati....»

Ella era sola.

Ella era sola presso alla culla vuota. Senza lagrime. Senza sguardo.

La suocera entrò e le posò la mano sulla spalla.

— Vado alla cappella a pregare per lui. Tu vieni?

La madre accennò di no col capo, e la suocera sospirando si allontanò. Le donne, i famigliari, tutti erano andati col conte Ademaro, col conte Folco e col dottor Fabrizi ad accompagnare il morticino. Non restava che il giardiniere, mezzo addormentato sulla porta della serra. Nessun altro in casa fuor che la madre.

Più di due ore passarono in quel silenzio, in quell'immobilità, in quel vuoto straziante di pensiero e di sentimento, peggiore di ogni disperazione.

A un tratto la ghiaia del viale lontano stridette sotto le ruote d'una carrozza. Era la carrozza di casa, coi cavalli bardati a lutto che risaliva lentamente il viale portando i parenti.

Rosa sentì e balzò in piedi. Si passò le mani tremanti sulla fronte quasi a snebbiare il torpore che la teneva. E tosto un terrore, un furore pazzo la presero.

Imbruniva. Folco tornava, il bambino non e'era più. Quella notte, ella avrebbe dovuto passarla con lui. Ella vedeva il viso del marito, atteggiato ipocritamente alla tristezza, e