Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/66

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strinse a sè e la baciò forsennatamente; si strappò gli orecchini, gli anelli, la «fede» e li gettò nella culla vuota, al posto lasciato freddo e vacuo dal cadavere; si avvolse la testa in uno scialle di Teresa, e discese a precipizio le scale.

Nessuno in casa. Anche la carrozza era scomparsa ad una svolta della strada.

Nel giardino solitudine e silenzio.

Ella passò rapidamente sotto al pergolato di carpini, raggiunse una porticina mezzo nascosta dall'edera che dava all'aperto sui campi.

La conosceva bene; era passata di là tante volte con «lui» in braccio! Una volta si era fermata proprio là a mostrargli una bestiolina col dorso picchiettato di rosso che passeggiava su di una foglia....

Oltrepassò la porta; la richiuse.

Si trovò in un campo che i filari di viti e di pioppi tagliavano regolarmente.

I grilli cantavano; la gran pace del vespero intorno.

Ed ella correva, correva, follemente, oltrepassava il campo, i filari, col volto sferzato dal vento e rigato di lagrime, senz'altro pensiero che quello di fuggire, di andar lontano. Dove?

Giunta a una siepe la scavalcò; a un bivio, prese istintivamente a destra. Era la strada piccola che conduceva al villaggio, tortuosa fra le siepi.

Ella non rallentò la corsa. I suoi occhi smarriti si posarono sugli alberi, sui cespugli noti al suo cuore e non li riconobbero.