Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/72

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Ella alza il faccione verso gli occhi ansiosi e il visetto pallido del bimbo, afferra manina e bandiera, domanda:

— Hans Hubner?...

E il piccolo con voce strangolata risponde:

— Sì, sono io: Hubner.

Allora la nonna lo aiuta a discendere, l'abbraccia, piange, prende il magro fagotto di lui, gli aggiusta sulle spalle lo scialletto, gli dà la mano, lo protegge col suo largo corpo dagli urti della folla, lo conduce fuori della stazione, su di un gran piazzale. E lì si ferma un istante, lo bacia ancora, piange nuovamente.

Egli no, non piange. Batte i denti di freddo e si guarda intorno trasognato.

Vede una città strana, nera: alte case scure coi tetti che finiscono in punta, strade tortuose e ripide, balconi carichi di geranei fiammanti, chiese color del bronzo e traforate come merletti, e, su tutta quell'ombra, su quella fosca patina greve, l'immacolata bianchezza della neve, che ha già coperto le case, le torri, le strade, che cade silenziosa soffice e lenta, come se non dovesse smetter mai più.

Non è maggio?... La Sicilia, tre giorni innanzi, quand'egli era partito, era tutto un profumo di mandorli in fiore, un trillar di rondini reduci ai nidi, ed il mare era così azzurro laggiù, e c'erano già tante rose.... Perfino sulle recenti rovine di Messina, sui sinistri minacciosi cumuli, esse si arrampicavano insolenti e sorridenti, e verso sera gli effluvii della tiepida primavera si mescevano al fetor dei cadaveri....