Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/76

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raggomitolava freddolso: tutto era vecchiaia, malinconia, solitudine. La nonna passò in cucina a cercare i fiammiferi: Nennè restò solo, immobile, col cuore stretto, nel mezzo della piccola sala.

E ad un tratto trasalì violentemente e tremò, come se una mano invisibile l'avesse toccato. Dalle spalancate porte che dalla saletta mettevano alle stanze cento occhi lo guardavano: uomini, donne, vecchi, bambini, immobili nella penombra, gli uni accanto agli altri, allineati lungo le pareti; ilari, tristi, pensosi, sprezzanti, indifferenti; tutti quegli sconosciuti lo squadravano ostinatamente, implacabilmente, silenziosamente, col fisso sguardo di cadaveri vivi, e si stupivano dei suoi ricci neri, del suo viso olivastro, dei suoi occhi profondi, e senza voce tutti insieme gli domandavano:

— Chi sei?... Che vuoi tu qui? che vuoi tu qui?...

Con un urlo, Nennè si precipitò verso l'uscio della cucina, cadde fra le braccia della nonna, scoppiò in disperati singhiozzi.

Allora, fra i due che non si capivano, fu un incrociarsi comico e affannoso di domande, di esclamazioni, di sospiri.

L'uno parlava e si disperava nel più veemente dialetto siciliano, l'altra confortava, s'inquietava e interrogava nel suo aspro tedesco.

— Ho paura! Voglio andar via! voglio andar via!... — urlava Nennè fra i singhiozzi.

E la nonna, curva su di lui, guardandolo inquieta coi suoi miti occhi azzurri dietro le lenti: