Pagina:Dumas - Il tulipano nero, 1851.djvu/182

Da Wikisource.
168


— Sì, l’anderebbe bene, disse Cornelio aggrottando le ciglia, se vostro padre fosse solo; ma c’è un altro, quel signor Giacobbe, che ci spia.

— Ah! l’è vero; però, riflettiamo: vi private così di una gran distrazione.

Ella pronunziò queste parole con un certo sorriso che non era del tutto esente dalla ironia.

Infatti Cornelio pensò per un momento: gli era facile vedere che egli lottava cor un gran desiderio.

— Ebbene, no, esclamò egli con uno stoicismo proprio all’antica, no, sarebbe dabbenaggine, sarebbe una pazzia, sarebbe una vigliaccheria! Se io dessi in balia a tutte le perverse vicende della collera e della invidia l’ultima risorsa che ci rimane, sarei un uomo indegno di perdono. No! Rosa, no! dimani risolveremo sul conto del vostro tulipano; lo coltiverete secondo le mie istruzioni; e quanto al terzo tallo, — Cornelio sospirò profondamente, — quanto al terzo, custoditelo nel vostro armario! custoditelo come l’avaro custodisce la sua prima o la sua ultima moneta d’oro; come la madre custodisce il suo figlio; come il ferito custodisce la sua ultima goccia di sangue nelle sue vene; conservatelo, o Rosa! Un non so che dicemi che lì sta la nostra salvezza, la ricchezza nostra! Custoditelo! e se il fulmine cadesse su Loevestein, giuratemi, o Rosa che invece delle vostre gioie, de’ vostri anelli, della vostra bella scuffiettina d’oro, che così bene incornicia il vostro viso, giuratemi, o Rosa, che voi salverete quell’ultimo tallo, che racchiude il mio tulipano nero.

— State tranquillo, signor Cornelio, disse Rosa con una dolce mistura di tristezza e di solennità