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Era guarito il povero malato; era libero il povero prigioniero!

Per una gran parte della notte Cornelio restò fisso alle sbarre della sua finestra a orecchie tese, concentrando i suoi cinque sensi in un solo, o piuttosto solamente in due: guardava e origliava.

Guardava il cielo, e ascoltava la terra.

Poi di tratto in tratto volgeva l’occhio verso il corridoio, dicendo:

— Laggiù è Rosa, che veglia come me, come me aspetta di minuto in minuto. Laggiù sotto gli occhi di Rosa è il fiore misterioso che vive, che screpola, che si apre; forse in questo momento Rosa tiene tra le sue dita tiepide e delicate lo stelo del tulipano. Sia delicato il contatto, o Rosa! Forse tocca co’ labbri suoi il calice del fiore semiaperto. Sfioralo con precauzione, o Rosa! le tue labbra bruciano! Forse in questo momento i miei dolci amori si carezzano sotto lo sguardo di Dio.

In quel momento una stella strisciò al mezzogiorno, traversò tutto lo spazio che separava l’orizzonte della fortezza e venne a cadere su Loevestein.

Cornelio trasalì:

— Ah! disse, ecco che Dio invia un’anima al mio fiore.

E come se avesse colto nel segno, quasi nello stesso momento il prigioniero intese nel corridoio dei passi leggeri come quelli di una silfide, lo sventolìo di una veste che pareva un ventilar di ali, e una voce ben conosciuta, che diceva:

— Cornelio, amico mio, amico diletto e ben felice, venite, venite presto!