Pagina:E supremi apostolatus (edizione Roma 1903).djvu/6

Da Wikisource.
 
— 4 —
 


dall’ambascia del mio cuore, quali mai non rammento essere da me usciti, per verun dolore, prima di quel giorno, in cui parve cadermi sopra quella grave sventura dell’arcivescovado di Cantuaria. Nè ciò poterono ignorar coloro che, in quel giorno, fissarono lo sguardo nel mio volto... Io, più somigliante pel colore ad un morto che ad un vivente, era pallido per lo stupore e per l’affanno. E all’elezione di me fatta, o meglio alla fattami violenza, finora, parlando con verità, ho riluttato quanto ho potuto. Ma già, voglia o no, son costretto di confessare che i giudizi di Dio resistono ogni dì più ai miei sforzi, talchè non vedo di poterne scampare. Per lo che vinto dalla violenza non tanto degli uomini quanto di Dio, contro alla quale non v’ha accortezza, capisco non rimanermi altro partito, che, dopo aver pregato quanto ho potuto ed essermi adoperato affinchè questo calice, ove fosse possibile, passasse da me senza che lo bevessi, posponendo il mio sentimento e la mia volontà, mi rimetta interamente al consiglio ed alla volontà di Dio.

Nè per verità a questa Nostra riluttanza mancavano ragioni in gran numero e di sommo peso. Imperocchè, oltre allo stimarci del tutto indegni dell’onore del pontificato per la Nostra pochezza; chi non sarebbe stato commosso nel vedersi designato a succedere a Colui, che avendo, pressochè per ventisei anni, retta la chiesa con somma sapienza, di tanta sublimità di mente, di tanto lustro di ogni virtù si mostrò adorno, da trarre in ammirazione di sè pur gli avversarî e lasciar memoria di se stesso in imprese preclarissime? — Per passarci poi di ogni altro motivo,