Pagina:Economisti del Cinque e Seicento, Laterza, 1913.djvu/160

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150 cause che fanno abbondare li regni d'oro e argento

detto popolo. E Giustiniano imperatore si gloria piú di aver ridotto in ordine, quale fu un tempo, la legge che di qualsivoglia altra cosa da lui fatta, affermando che non saria bastato saper umano senza il particular favore divino. Il che fu benissimo accennato da Francesco Petrarca in quel sonetto, nell’ultimo terzetto:

               Or questo è quel che piú ch’altro n’attrista,
          che perfetti giudizi son sí rari
          e d’altrui colpa altrui biasmo s’acquista.

Dove si scorge che per la gran difficultá l’intelletto alle volte si può ingannare, apprendendo per vero il contrario, non pure arrivare vicino al vero o lontano.

E, perché il proposito mio non è di trattar del governo politico in generale, del quale deve bastare quanto si è scritto dagli antichi, essendo bene intesi; né meno del conoscer bene il giusto dall’ingiusto, essendo a sufficienzia provisto a questo da Giustiniano (quando la legge stesse nel stato che la compilò e non nella confusione che si ritrova); ma solo quali siano le cause che possano fare abbondare un regno di monete, non vi essendo miniere di oro e argento, del che né da antichi né da moderni, quali hanno scritto della buona disposizione del stato politico, si è mai trattato cosa alcuna; — né questo l’ha possuto causare la poca importanza o la facilitá della materia, essendo noto a ciascuno quanto possa importare al beneficio publico e particolare del prencipe abbondare il suo Stato di oro e argento o esserne povero; e cosí ancora desiderarsi da tutti e da pochi arrivarsi; — e nel Regno nostro in particolare si sa quante provisioni si siano fatte, esorbitanti ancora, per chi ave avuto cura del governo per tal particolare, per vederlo ognora piú impoverire, conoscendo l’importanza e pericolo grande, e non averne mai giovato alcuna, essendovi causa potentissima, come si è detto, doverne abbondare, che par sia rimedio disperato; — e, benché appara che il detto De Santis abbia trattato, nel suo Discorso sopra la riforma del cambio, in questa materia, nientedimeno non si può dire che abbia questo trattato, mentre