Pagina:Economisti del Cinque e Seicento, Laterza, 1913.djvu/211

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parte seconda - capitolo xi 201

non tengono corrispondenza. Se ciò era vero, fece male non consigliare che si proibesse il cambio in tutto, poiché in questo modo era sicuro venire li denari di contanti, e non per il modo di bassarlo, ancorché fosse vero il guadagno del portare in contanti. Poiché né sempre, né a tutti luochi, né in ogni tempo torna espediente portar contanti, possendo portarli per cambio, ancorché si perdesse in cambiarli; ma, essendo tolto il cambio, di necessitá bisognava portar li denari in contanti. E tanto piú si dovea fare, quanto egli di sopra ha detto che le cittá d’Italia non possono spesarsi della robba del Regno, ché con quella vivono; e l’esperienza predetta del regno di Sicilia lo dovea certificare di questo e non farlo dubitare che si saria perduto il commercio per il mancamento del cambio, come non si è perduto in detto regno. Oltre che, di questa perdita non si deveria tener conto, quando fusse, mentre è causa d’un tanto utile, facendo venire denari, come esso dice, e questo commercio di gran danno, non lasciandone venire e cavandone quelli che vi sono, e cosí impoverendo il Regno in tutto, che maggior danno di questo non si patria fare; e, proibendosi, si remediava che non uscissero e che per forza venissero. Né, se fusse vero che per la povertá de le piazze di Messina e Palermo venissero in contanti le monete per la seta, non ritrovando a cambiarli, si avria lasciato da diversi mercanti, e forastieri e cittadini, e dagl’istessi genoesi, che vengono per la seta, introdur case di ragioni in dette cittá, per possere cambiare ogni gran somma per ogni rispetto.

CAPITOLO XII

Se contradicea alla giustizia la detta pragmatica.

Sopra questo particolare, che è la quinta ragione che si porta in contrario della pragmatica, che non dovea limitare il prezzo certo del cambio, essendo quello libero, si fatica molto in risolverla, dicendo che l’ha ritrovata in bocca di tutti negozianti,