Pagina:Economisti del Cinque e Seicento, Laterza, 1913.djvu/284

Da Wikisource.

che a poco a poco restarebbe piú vile l’argento in proporzione dell’oro; il che pare succedesse anche nella Giudea al tempo di Salomone, quando le flotte, che quel re per lo Mar Rosso mandava ogni tre anni all’Indie d’Ophir e di Tarsis, avevano portata incredibile copia d’oro e d’argento, che racconta il sacro testo che «tanta erat abundaíitia argenti in lerusalem quanta et lapidimi»; e poco sopra disse che «no?i erat itec alicuius pi etii putabatur argetitíwi in diebus Salomonis , qtiia classis regis per mare cuni classe hiram semel per tres annos ibat in Tarsis, deferens inde aurum et argentian et detites elephantorum et simias» (’).

Ora, se non fosse ormai lecito, com’è, di passare per favole certe storie di Plinio, che hanno il sembiante di racconti di vecchiarelle, io mi riderei bene da senno della sconsigliata risoluzione di Tiberio, a cui dice questo autore che essendo stato portato un vaso di vetro di cosi fatta natura, che non meno del rame e dell’oro potevasi tirare a martello, onde, caduto in terra senza rompersi, il buon maestro a vista dell’ imperadore con un martellino ne racconciò l’ammaccatura della percossa; timoroso il monarca che, pubblicata l’invenzione, non scemasse di pregio l’oro, ne fece tantosto morire ingiustamente l’autore. Se il vetro ordinario e non trattabile a martello era vile rispetto all’oro, vi sarebbe egli per avventura chi mi sapesse dire il perché? Certo che, s’egli è bene men duro e meno lucido alquanto del diamante, nulladimeno il potersene far vasi da bere e prevalersene per tanti altri usi nobili è una prerogativa ben degna dí contrapporsi a quella del diamante. Ma fossero pure in tanta copia nel mondo i diamanti come ci è il vetro, e li vedressimo piú vili assai del vetro; attesoché, data la paritá dell’abbondanza, piú stimabile sarebbe quello di essi che di maggior uso fosse, e s’imputarebbe a vizio ed imperfezione del diamante la sua immensa durezza. Dunque la raritá è quella circostanza, che rende piú e meno preziose le cose,

(i) III Reg., X, 21-2.