Pagina:Economisti del Cinque e Seicento, Laterza, 1913.djvu/306

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darebbono in quel paese per quella tal cosa, se facesse loro di bisogno. E resta chiaro ancora ciò che vuol dire «valore», «prezzo caro» e «buon mercato», ecc. Conciossiaché queste voci altro non suonano che la misura della stima che di quelle cose, siansi monete o merci, fanno comunemente gli uomini in quel paese. E, perché la misura di questa stima dicemmo esser la moneta, e fra le monete l’oro e l’argento sono i metalli che camminano nella stima degli uomini piú proporzionatamente, e sono quelli che, abbiano qual impronto si voglia, sono per tutto il mondo piú universalmente accettati: perciò, quando si parla di merci, il loro valore, prezzo, ecc. non può piú giustamente esprimersi che in tant’oro e in tanto argento. Ma, quando si parla di monete, se sono d’oro, s’esprime il loro valore in argento; se d’argento, s’esprime in oro, perché sono misura propria uno dell’altro. Onde, se io dimando quanto vale in Spagna la doppia, e mi sia risposto, per esempio, che vale 750 maravedi, eh ’è moneta picciola di rame usata in Spagna, io non imparo niente, perché in quelli maravedi non si trova valor vero ed intrinseco del metallo, o sia misura universale della stima in che gli uomini li prezzano, perché fuori di Spagna non li pigliarebbono che a peso di rame vecchio, con perdita grande: ma, se dicono che la doppia vale 30 reali d’argento, allega imparo, perché sono monete d’argento, ed hanno corso per tutto il mondo, ed è nota la loro bontá, peso e valore. Molto peggio di far questo paragone colle monete inferiori si fará con cert’altra moneta, che il piú delle volte è solo immaginaria, e chiamasi «lira» o «scudo» del tal paese; perché allora vi s’incontreranno grandissime difficoltá ed oscuritá, che renderanno confusione non ordinaria a chi ha necessitá di maneggiar queste materie. Onde fa di mestieri di queste ancora trattare, e per chiarezza ripigliarne un poco piú di lontano il discorso.

Questo nome di «lira» non è che un’ombra o immagine restata dall’antica libra o asse romano, che da Servio Tulio fu battuta a principio di rame, di peso di una libbra, che, sebbene poscia era subdivisa in monete minori, detti «simbelli», «trienti» , «quadranti», «sestanti», «once», «sestoli», ecc., conforme