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Introduzione lvii


Per quanto quei versi fossero pronunziati sorridendo e con tono scherzoso, lo Stefanelli capì subito che purtroppo corrispondevano alla realtà, e ne fu molto afflitto.

Fu questa l’ultima volta che i due amici si rividero.

Bucarest fu fatale ad Eminescu. Inclinato per natura alla vita di bohème, circondato da amici che facevan di notte giorno e di giorno notte, come si dice in rumeno, oppresso dal lavoro facchinesco che compiva al Tempo; la sua salute non tardò a risentirsene. Un’allusione piena di tenera preoccupazione a questa sua vita disordinata la troviamo in una lettera di Veronica Micle del 18 febbraio 1882:

«Ma, scusa, che razza di vita disordinata è quella che tu meni? Come? Alle cinque del mattino tu non sei andato ancora a letto? E come puoi pretendere di parlare con me ad un’ora in cui io, di solito, dormo il sonno dei giusti? Sa lei, signor mio, che simili eccessi la tua suocera — come tu mi chiami — non può assolutamente permetterteli? E sai che se il suo Micio1 non sarà saggio, anche la sua Micia farà delle sciocchezze, e non si sentirà più legata dalla promessa di non andar più a teatro?»2.

Ed il Vlahutza:

«Coscienzioso e amante del lavoro, Eminescu sopportava tutto lui il peso del giornale. Quante notti passate a tavolino colla penna in mano! E il giorno dopo, pallido, sparuto, coi capelli in disordine, colle dita tutte sudice d’inchiostro, lo vedevi entrare in tipografia con un gran fascio di manoscritti, e, ancora lì, dopo aver lavorato alla paginazione del giornale, redigere le informazioni, tagliare, aggiustare, aggiungere secondo le esigenze dello spazio, correggere le bozze, e finalmente la sera, quando il giornale era in



  1. Ho reso alla meglio il bisticcio fra Mițu, diminutivo di Mihai e Mâța che in rumeno vuol dir gatta.
  2. Octav Minar, op. cit., p. 144.

E — Eminescu, Poesie.