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riso da pretendente a cui una deputazione del voto universale avesse recato le chiavi di una capitale e di un regno.

La splendida luna di miele, senza la più piccola nube, durò circa un mese. Ma col carattere di Don Gonzalo era durata fin troppo.

La gelosia, la furente gelosia, che era pur sempre stata latente nel suo animo, ma che nei primi giorni non trovò modo nè appiglio di scoppiare, scoppiò un bel giorno improvvisamente.

Il marchese Salvador era un po’ come il Nemorino della Sonnambula. Era geloso del zefiro errante, geloso dell’ombra che la Ida projettava passeggiando al sole, geloso del cucchiaio, della forchetta, del bicchiere, del tovagliolo, dello spazzolino che toccavano le labbra e i denti di lei, geloso del calzolaio che le calzava gli stivaletti, della sarta, della modista, della bustaia che le provavano gli abbigliamenti.

Egli avrebbe voluto mettere la sua Ida in una camera, dove nessuno, fuori di lui, avesse a parlarle, a sorriderle, a trovarla bella, a toccarla, a vederla.

La causa della prima escandescenza gelosa era stata una lettera del duca, il quale le aveva scritto da Alessandria sul Nilo.