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dell’attesa acclamando da lungi il Re. Il Nicotera mantenne il divieto e i dimostranti si sciolsero indignati. Bastava un nonnulla per far nascere una carneficina.

Il giorno dopo, gli on. Amadei e Bertani interrogarono il Ministro dell’interno sul divieto, e assicurarono che la dimostrazione era quieta e dignitosa, e che era stata cosa improvvida non averle permesso di giungere al Quirinale. Il Nicotera si difese debolmente.

Appena il Senato rigettò il progetto di legge sugli abusi del Clero, il Nicotera proibì pure un meeting di protesta, che volevasi tenere il 3 giugno, giorno della festa vaticana per il Giubileo episcopale del Papa, permise peraltro che fosse tenuto tre giorni prima. L’adunanza promossa dal Comitato Centrale Repubblicano, e propugnata dal Dovere, fu tale quale lo diceva il suo programma. Parlarono Zuccari, Lizzani, Narratone e Fratti. Quest’ultimo additò il Vaticano come nemico comune agli italiani, ma aggiunse che l’Italia aveva ben altri nemici. Il Colacito, più veemente ancora, si scagliò contro il Governo, che dava al popolo «tasse e manette», e faceva bassezze col Papa concedendogli «lista civile e guarentigie». L’on. Bovio tessè la storia della caduta del Papato dichiaro: «Non è odio che ci anima contro questo vecchio, contro questo prigioniero volontario, pescatore di zecchini, egli equivoco del medio evo, noi esordio della terza Roma».

Queste declamazioni fecero un grande effetto. Garibaldi con una lettera dello stesso tenore, aveva affermato di essere coi promotori del meeting «coll’anima e sempre». L’ordine del giorno che fu votato terminava: «Convinto che il principio religioso ha la sua garanzia nel privilegio politico, confida nell’avvenimento del popolo. . . . .»

Questi meetings erano permessi, le dimostrazioni pacifiche al Quirinale, no. Eppure il Nicotera in una riunione tenuta dalla maggioranza, aveva raccomandato che non si facessero dimostrazioni per il Giubileo episcopale del 3 giugno, e il meeting fu tenuto all’Apollo il 30 maggio. Vien fatto di domandare se questa non fu una dimostrazione. Fu l’unica peraltro. I pellegrini avevano dai loro vescovi ricevuto ordine di mostrarsi prudenti, e con quella ubbidienza, che è propria dei clericali, essi non provocarono nessun disordine. Del resto non tutti eran venuti qua animati da sentimenti ostili. Vi erano i Savoiardi, devoti al loro Principe di un tempo, vi erano gli Austriaci, che non hanno mai dato prova d’intolleranza, vi erano i Tedeschi, sempre rispettosi verso il paese che li ospita. Guidava questi il vescovo Martin di Padeborn, grande avversario di Bismarck.

Un giorno il Re era al Pincio. Da un gruppo di pellegrini francesi si staccò un vecchio prete per accostarsi alla carrozza reale; il Re fece fermare e prese una supplica, che il vecchio prete gli presentava umilmente, cercando di baciargli le mani. Molti pellegrini e preti assistettero da lungi a quella scena a capo scoperto, visibilmente commossi. Il prete era savoiardo e chiedeva al suo antico Sovrano una grazia, che Vittorio Emanuele fecegli subito accordare.

Nel marzo di quell’anno si pose mano ai lavori del Tevere, tanto attesi e tanto desiderati.

La sola espropriazione di un pezzo del giardino della Farnesina, costò 750,000 lire. Verso la Regola fu trovato un banco di sabbia che fece sospendere i lavori. Nel giugno si cominciò anche ad allargare il Ponte Sisto, con gran benefizio degli abitanti del Trastevere.

Fu anche nel 1877 che s’incominciò la costruzione delle case operaie nella seconda e terza zona dell’Esquilino. Il senatore Rossi aveva fatto un contratto col Comune, mediante il quale questo cedevagli 25,000 metri quadrati di terreno e su quell’aree sorsero piccole case con giardini, che si vedono ancora verso San Giovanni, e che rimasero per molto tempo come sentinelle avanzate delle nuove costruzioni.

Nello stesso tempo che si facevano questi lavori, si terminava la via Nazionale fino al Corso,