Pagina:Emma Perodi - Roma italiana, 1870-1895.djvu/179

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questo si allargava fino al vicolo del Piombo, si metteva mano a costruire il ponte di Ripetta e s’incominciavano le fortificazioni di Roma, si abbattevano i torrioni di Porta del Popolo, praticando le due uscite laterali, si terminava il palazzo delle Finanze e si lavorava alla basilica Ostiense.

Quel tratto della via Nazionale dalla Consulta a Magnanapoli, richiese lunghi e penosi lavori. Si trattava di fare i due muraglioni per sostenere i giardini Pallavicini e Rospigliosi, opera difficile e costosa, come per fare la via del Quirinale si dovette rimuovere una grande quantità di terra e far nuove fondamenta alle case Sereni e alla chiesa di San Silvestro. In quel tempo si circondò anche il Pantheon dalla cancellata, che vi è attualmente.

Tutti questi lavori abbellivano sempre più Roma, e siccome non si demoliva ancora la parte vecchia, la città conservava ancora il suo aspetto pittoresco, che la rendeva così cara agli artisti, mentre nuove case sorgevano nei quartieri alti, più adattate ai bisogni della vita moderna. A collegare i nuovi con i vecchi quartieri si era già provveduto alla meglio, con alcune linee d’omnibus, ma le comunicazioni erano sempre difficili e parvero una grande novità e un grande benefizio l’inaugurazione del tram dalla piazza del Popolo a Ponte Molle. Alla inaugurazione assisteva anche il ministro Zanardelli, al quale fu offerto un rinfresco nella villa Oblieght, sulla via Flaminia, la villa dove si facevano tutti i duelli in quel tempo, e dove spesso andava a passeggiare la Principessa Margherita.

I carrozzoni del tram erano tirati da un solo cavallo, ma erano molti, e i romani fecero buona accoglienza alla novità e a centinaia andavano ogni giorno fino a Ponte Milvio. Il tram suggerì al sindaco Venturi l’idea di studiare i Parioli per farvi una passeggiata, che somigliasse a quella del Viale dei Colli a Firenze. Gli studi furono terminati in seguito, si fece il viale, si piantarono gli alberi; Villegas, il celebre pittore spagnuolo, vi fabbricò una villa moresca, ma Roma non ebbe e non avrà forse per molto tempo una passeggiata.

Nell’inverno del 1877 fu a Roma don Pedro Imperatore del Brasile, insieme con la moglie, che era della casa dei Borboni di Napoli e mancava dall’Italia fino dal tempo del suo matrimonio. Il dotto sovrano assiste alle sedute dei Lincei, alle lezioni dell’Università e fece una rapida rivista di tutto il movimento intellettuale di Roma. L’Imperatrice non aveva la cultura del marito, aveva dimenticato l’italiano e parlava un dialetto misto di napoletano e di portoghese, che era la cosa più buffa che si potesse udire. Tanti cambiamenti erano avvenuti dopo il suo matrimonio, che ella ne era come sbalordita. A Napoli e a Roma, invece della sua famiglia e del Papa, regnava quegli che ella non poteva scordarsi di chiamare il Re di Sardegna. L’Imperatrice peraltro aveva molto tatto e seppe far buon viso ai nuovi tempi e agli uomini nuovi.

I sovrani abitavano all’albergo Bristol e accettarono diversi inviti, fra i quali uno della marchesa Capranica del Grillo. Essi avevano ammirato a Rio Janeiro Adelaide Ristori e passarono una serata in casa di lei. In quella occasione una bella giovinetta, la Clelia Bertini, nota ora nel mondo delle lettere, improvvisò alcune poesie, e la Mariani-Masi e il Desantis cantarono il duetto del Guarany del maestro brasiliano Gomez.

I ricevimenti in quell’anno furono molti e numerosi. Ambasciatore d’Austria era stato nominato il barone di Haymerle, uomo simpatico e ospitale, come tutti i viennesi. Prima abitava al palazzo Odescalchi, poi passò in quello Chigi e riceveva, ma più che balli offriva pranzi elegantissimi. 11 barone di Keudell al palazzo Caffarelli, e il marchese de Noailles al palazzo Farnese facevano a gara a ricevere la società romana. Le serate dell’ambasciatore di Germania erano a preferenza musicali; più brillanti riuscivano i ricevimenti della elegantissima marchesa de Noailles. La marchesa era una vera parigina per la vivacità e non aveva peli sulla lingua. Sotto una apparenza di giocondità, era