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La Camera approvò i bilanci e mentre si discuteva quello delle Finanze, si udirono il Corbetta e il Grimaldi parlare contro l’abolizione del macinato secondo il progetto emendato dal Senato, che però venne approvato. A quelle votazioni non parteciparono i tre capi dei dissidenti.

Alla di luglio un’altra quistione, che pur si fece grossa, venne alla Camera. L’on. Baccarini presentò il progetto di legge per la ferrovia Goletta-Tunisi, che consisteva nell’accordare al comm. Rubattino, che aveva ottenuto dal Governo francese quella linea, l’interesse del 6% sul capitale da lui impiegato per quell’acquisto. La Camera lo approvò subito, ma su proposta dell’on. Martini, rinviò a novembre la discussione della legge elettorale e la Camera si chiuse.

Quell’anno il carnevale, nonostante le premure del comitato e degli artisti, non fu molto brillante. Vi furono però due tentativi che ebbero esito felice; il primo la gita di piacere Parigi-Roma, che portò qui 400 parigini desiderosi di divertirsi, e che furono accolti cordialmente e ripartirono contenti delle feste carnevalesche romane; il secondo il Corso a via Nazionale, che riusci bellissimo per l’intervento della mascherata del principe Carcumello, ideata dagli artisti. Il principe era in una carrozza del principe Chigi, tirata da sei bellissimi cavalli riccamente bardati e aveva a fianco la sua sposa, e l’erede presuntivo. La Regina prese parte al corso e la sua carrozza fu coperta di fiori. Agli altri corsi ella assisteva dal terrazzino del palazzo Fiano, insieme col Re e col Principe di Napoli, il quale già presiedeva concerti pubblici per bambini e imparava a adempiere i suoi obblighi di erede presuntivo del trono.

I veglioni si facevano all’Alhambra, al Politeama, all’Argentina e all’Apollo. I due primi erano gai e popolari; quelli dell’Argentina eleganti, ma non quanto i festini dell’Apollo, dove andavano le signore, e che erano riunioni bellissime e allegre.

Si ballava anche alla galleria Pascucci, in via Nazionale, inaugurata di recente.

Il Concorso Governativo per Roma non fece un passo in tutto l’inverno. Il Depretis voleva che fra gli oneri che assumeva il Municipio vi fosse quello della costruzione delle caserme; la Giunta si opponeva e il ministro dell’interno non intendeva neppure presentare il disegno di legge alla Camera, sicuro che non lo avrebbe approvato, se il Consiglio non lo aveva prima votato nella forma che egli credeva opportuna. Finalmente alla metà d’aprile fra l’on. Depretis e l’on. Ruspoli fu concordata una convenzione che il Consiglio nella tornata del 2 maggio respinse. In seguito a quel voto il sindaco si dimise insieme con la Giunta. Il 22 giugno si fecero le elezioni parziali ed entrarono nel Consiglio otto moderati, cioè don Giannetto Doria, don Onorato Caetani, il marchese Lavaggi, Alessandro Righetti, Emidio Renazzi, Serafino Gatti, Pietro Cavi e Carlo Valenziani; cinque clericali come Giovan Battista de Rossi, don Mario Chigi, Temistocle Marucchi, Salvatore Bianchi e don Scipione Salviati, e un solo progressista: Guido Baccelli. A consiglieri provinciali furono eletti: Gaetani Bompiani, Samuele Alatri, Giulio Merighi, Guarna-Capogrossi, don Marcantonio Borghese, Carlo Palomba, Felice Ferri e Lorenzo Meucci.

Il sindaco, che non era stato neppure rieletto, se ne andò e ne prese le funzioni l’assessore delegato Armellini, ma la Giunta fu rieletta tal quale e così si sciolse la crise del municipio, evitando una nuova quistione. Ve ne erano già tante, che era saggia cosa il non aumentarne il numero.

Si sapeva che le faccende della biblioteca Vittorio Emanuele andavano malissimo, ma l’interpellanza dell’on. Martini fece impressione, e la Camera votò l’ordine del giorno di lui, con il quale chiedeva si facesse la classificazione delle biblioteche del Regno e si pubblicasse l’inchiesta sulla Vittorio Emanuele.