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«Al suffragio universale, e non ai voti di pochi privilegiati, si addice il compito di mandare a rappresentarlo uomini che possano e vogliano fare la grandezza e la prosperità della gran patria italiana. Deputato o no, sarò sempre per la vita, vostro


Eguale rinunzia inviava Menotti Garibaldi ai suoi elettori di Velletri.

Il comitato elettorale del 1° collegio di Roma redasse un indirizzo a Garibaldi con cui lo pregava di desistere dalle dimissioni.

Era la terza volta che Garibaldi rinunziava alla deputazione. La prima volta nel 1863 rassegnà il mandato conferitogli dagli elettori di Napoli; la seconda nel 1868 rinunziò essendo deputato di Ozieri, e la terza nel 1880.

La Camera, quando fu riconvocata in novembre, non accettò le dimissioni di Garibaldi; secondo l’uso invalso allora, gli accordò un congedo di tre mesi.

Il 25 settembre si riunì a Roma l’XI Congresso Pedagogico, che fu inaugurato dal ministro della pubblica istruzione, on. de Sanctis, nella sala degli Orazi e Curiazi. A presidente fu eletto il conte Terenzio Mamiani. Contemporaneamente venne inaugurata nel Collegio Romano una importantissima mostra didattica. Il cortile del palazzo era stato trasformato in un bel giardino. La mostra degli oggetti delle scuole comunali di Roma occupava l’Aula Massima; avevano largamente esposto l’Ospizio di Termini, quello di San Michele, la scuola Professionale, quella «Erminia Fuả Fusinato» e le altre di Roma. L’esposizione era sempre affollatissima.

Il Congresso si chiuse il 6 ottobre e negli ultimi giorni la discussione procede calma; non così nei primi, allorché fu messa in campo la questione del culto nelle scuole e la maggioranza del Congresso emise il voto che l’insegnamento dovesse essere solamente civile. Il compianto Aristide Gabelli, uno degli uomini più benemeriti dell’istruzione elementare, rimesse la discussione su una via meno scabrosa e così il Congresso potè compiere un lavoro utile. Prima di sciogliersi esso mandò un voto di plauso al municipio di Roma per aver in dieci anni, e lottando contro forti ostacoli, portato le scuole al grado ove erano giunte le altre d’Italia in un periodo di tempo molto più lungo.

Il primo premio fu riportato dal comune di Trieste, altri ne ebbero Napoli, Palermo, Bologna, Padova, Ferrara e Udine.

Una questione grossa fu in quell’anno anche quella dell’aumento della quota del dazio consumo che il comune doveva retribuire al Governo. Questo chiedeva per il quinquennio un aumento di 6,500,000 lire; la Giunta non era proclive ad accordargli altro che 2,500,000 lire pagandone il primo anno 300,000 di più dell’anno precedente, e aumentando ogni anno 100,000 lire fino a raggiungere il massimo di 700,000. Cosi in cinque anni si sarebbero raggiunti i 2,500,000. Il Consiglio, udito il rapporto della Giunta, approvò nella seduta del 28 settembre la proposta, come approvò la convenzione col Governo per il concorso per Roma dopo che ebbe udita la lettura di una missiva del Presidente del Consiglio, Cairoli, con la quale assicurava d’impegnare tutta la sua responsabilità per ottenere l’approvazione di quel progetto di legge.

I maggiori vantaggi che il Governo aveva accordato per Roma erano i seguenti: Il termine dei lavori governativi era fissato a un decennio. I lavori municipali obbligatorii, dai quali era stato tolto il mercato centrale, dovevano essere eseguiti non più in quindici, ma in venti anni, mentre poi per i lavori facoltativi era lasciato libero il Comune di eseguirne altri riconosciuti di maggiore