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urgenza. Il concorso governativo, che prima era stato fissato in due milioni l’anno per i primi venti anni e uno soltanto per i dieci successivi, era stato invece ripartito in 25 rate annuali di due milioni.

Il progetto governativo fu firmato il 15 novembre e il 16 l’on. Depretis lo presentava alla Camera. In quella stessa seduta l’on. ministro delle finanze presentava l’altro progetto per l’abolizione del corso forzoso. L’annunzio solo di questa operazione finanziaria aveva gettato lo scompiglio sul mercato italiano. Tutti i fondi erano subito ribassati e la Banca Nazionale aveva dovuto aumentare di dieci milioni le somme destinate agli sconti commerciali e spedire più di tre milioni a Torino, ove il progetto governativo era accolto peggio che altrove e le domande del commercio erano maggiori. Il paese si era commosso alla notizia dell’abolizione del corso forzoso, più che ad ogni altra, e l’idea di riavere l’argento e l’oro invece della carta sorrideva a tutti. Il solo timore che si nutriva era quello che il ministro Magliani non avesse la forza di condurre a salvamento la questione, e che il progetto di lui fosse poco vantaggioso per le finanze italiane.

L’incertezza nel paese durò qualche tempo, perché il ministero non aveva provveduto alla stampa del progetto di legge e occorsero diversi giorni prima che potesse essere distribuito ai deputati.

Mentre si attendeva quella distribuzione le interpellanze incominciarono a fioccare come grandine sul capo del ministero. L’on. Maurigi interrogò il ministro degli esteri sulla dimostrazione navale in Albania; l’on. Massari sulla politica estera; l’on. Damiani sui gravi avvenimenti che si compivano a Tunisi, ove l’Italia perdeva ogni giorno più la sua influenza; l’on. Savini sulla stessa quistione scottante; l’on. Giovagnoli sulla immigrazione dei gesuiti in Italia; l’on. Bonghi sulla debolezza di cui aveva dato prova il Governo di fronte ai partiti sovversivi; l’on. Bartolucci sulla circolare dell’on. Villa rispetto ai gesuiti espulsi dalla Francia, che cercavano asilo in Italia; l’on. Berti sulla politica interna.

Ho enumerato tutte queste interrogazioni e interpellanze perché sono una prova della poca fiducia che ispirava il Governo, specialmente con la sua politica estera. Le dichiarazioni fornite dall’on. Cairoli sulle diverse questioni toccate dagli interpellanti non rassicurarono, anzi fecero capire che egli non si rendeva conto dei fatti di Tunisi, ove la società Rubattino aveva acquistata a caro prezzo la ferrovia Goletta-Tunisi e il Governo francese, e per lui la società di Bona-Guelma, chiedeva la concessione di una linea parallela, che non gli fu accordata, ma gliene furono accordate altre. Contro queste concessioni l’on. Cairoli asserì che non poteva intervenire.

Dalle parole di lui si capì che la Francia non ammetteva che l’Italia, neanche pagando, potesse esercitare nella Tunisia i diritti consentiti a qualsiasi Stato, e che il Bey avrebbe ceduto sempre alle pretese della Francia, perchè il Governo italiano non aveva la forza di opporsi.

Le blande dichiarazioni dell’on. Depretis sui moti repubblicani fecero inoltre capire che il Ministero cercava un accordo con i radicali in previsione di un voto, e ciò dispiacque alla Camera.

E l’appoggio loro non gli mancò, cosicché nella votazione ebbe 33 voti di maggioranza, scarsa e raccogliticcia peraltro, che fece subito correr voce di un rimpasto ministeriale.

Dopo quella votazione si discussero i bilanci di prima previsione dai due rami del Parlamento. L’on. Bonghi riportò alla Camera la questione della biblioteca Vittorio Emanuele, perchè nella relazione della commissione d’inchiesta si era veduto specialmente accusato di aver ordinato i cambi dei doppioni con libri moderni forniti dal Bocca, e di aver così facilitato il trafugamento di moltissime opere, alcune anche importanti. E l’accusa non si limitava a questo; dicevasi pure che egli