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Nuovi emendamenti, come quello dell’on. Crispi, che voleva il palazzo per il Parlamento invece di quello di Giustizia, alla quale sarebbe stato dato quello di Montecitorio, e che fu accettato dalla Commissione, ritardarono il voto. Il progetto di legge fu approvato finalmente il 18 marzo, e il Consiglio comunale votò un ringraziamento ai deputati.

Nella cronaca dell’anno precedente ho accennato alla trepidazione che si manifestò sul nostro mercato, appena si parlò dell’abolizione del corso forzoso. La legge, sulla fine di febbraio, fu votata dalla Camera e il 7 aprile dal Senato a grande maggioranza, cioè con soli 9 voti contrari.

Due importanti riforme: quella del macinato e della abolizione del corso forzoso erano state approvate, ma il ministero era poco o punto sicuro e sentiva addensarsi sul capo la burrasca della occupazione francese della Tunisia, resa possibile dalla sua politica delle «mani libere».

La Francia, che non ignorava la situazione dell’Italia di fronte alle potenze, noiata forse dalle ingerenze indirette che noi volevamo avere a Tunisi e credendo scorgere in esse i prodromi di una politica di protezione, volle affermare la sua supremazia sulla Reggenza, e con mezzi efficaci indurre il Bey a cedere alle sue pretese. Cosi il Governo della Repubblica seppe trovare un pretesto nelle sommosse delle tribù nomadi per occupare Biserta e marciare su Tunisi.

La notizia che i francesi avevano passato la frontiera dell’Algeria ed erano penetrati nel territorio tunisino, gettò l’allarme a Roma e mise in iscompiglio la Camera. Questo avveniva il 5 aprile e appena il presidente del Consiglio, tutto turbato, giunse a Montecitorio, si riunì a conferire con gli on. Rudinì, Massari e Damiani, che avevano presentate interpellanze, per indurli a differirne lo svolgimento al giorno seguente. Essi aderirono alla domanda, ma quel differimento non fu una soluzione per il Cairoli, che si sentiva perduto ed era tanto più afflitto, perchè egli aveva sempre avuto il debole di credersi un profondo diplomatico, e capiva troppo tardi di essere stato abilmente giocato dal marchese di Noailles, e capiva pure che il Cialdini era stato poco meno che menato per il naso a Parigi.

Il 6 l’on. Massari aprì il fuoco alla Camera, garbatamente, come soleva far sempre; scusandosi anzi col dimostrare che gli animi erano inquieti e dovevano essere rassicurati. Egli disse che il Governo francese aveva preparati tutti i mezzi per giungere allo scopo che si proponeva, usando anche di quelli religiosi. Infatti aveva tentato di sostituire al vecchio vescovo di Tunisi un monaco francese, sebbene le sue proposte non fossero state accolte favorevolmente dal Vaticano. «Il Governo italiano, disse l’on. Massari, ha egli adoperato tutti i mezzi che erano in suo potere per raggiungere gl’intenti della nostra politica?»

L’on. Rudinì, come già aveva fatto l’on. Massari, citò la dichiarazione fatta dal sotto segretario degli esteri d’Inghilterra, il quale aveva ammessa la possibilità che l’occupazione di Cipro per parte del suo Governo fosse l’equivalente della concessione accordata alla Francia di occupare Tunisi, e ponendo quella dichiarazione in rapporto con quelle ufficiali francesi, che accennavano ad urgenti provvedimenti da prendersi rispetto a Tunisi, chiedeva spiegazioni tali al Governo da assicurare la Camera che la dignità del paese non era stata e non sarebbe offesa. L’on. Damiani interrogò il Presidente del Consiglio nello stesso senso, e l’on. Cairoli con voce trepidante, e in mezzo al silenzio profondo della Camera affollata, rispose che gli accordi fra la Francia e l’Inghilterra per una eventuale occupazione di Tunisi non erano veri, poiché nel 1878, in via ufficiale chiese spiegazioni su di essi, e gli fu assicurato che non esistevano; eguale risposta aveva avuto recentemente dal Governo inglese.

In mezzo ai comenti più svariati, l’on. Cairoli continuò a parlare ed io riassumo il suo discorso: