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Le relazioni con l’Austria si facevano sempre più tese e il ministero sperò che una visita del Re e della Regina alla corte di Vienna potesse migliorarle. I Sovrani partirono da Monza alla fine di ottobre accompagnati dai ministri Mancini e Depretis e furono entusiasticamente accolti, ma pochi giorni dopo che erano tornati il ministro degli esteri, Kallay, fece nel seno delle delegazioni a Vienna un discorso, che dimostrò che il viaggio era stato inutile, e che i ministri italiani non avevano concluso nessuno accordo. Poco dopo, il principe di Bismarck tenne pure un linguaggio acerbo contro l’Italia. Inoltre Gambetta prese la difesa del trattato del Bardo e l’Inghilterra dimostrò chiaramente che delle faccende del nostro paese si disinterassava del tutto. Quando si riaprì la Camera e venne in discussione il bilancio degli esteri si capì, dalle dichiarazioni dell’on. Mancini, che eravamo più isolati che mai, nonostante l’amicizia con tutti, anzi appunto per questa, e il paese s’impensierì della mancanza d’indirizzo nella politica estera.

In Vaticano vi furono grandi solennità per la canonizzazione di quattro santi, fra cui il Labre; il Papa scese in San Pietro per ricevere i pellegrini italiani, ma non vi furono disordini. In poco volger di tempo erano morti i cardinali Caterini, Morelli, Giannelli e Borromeo; al posto di quest’ultimo, che era arciprete della Basilica Vaticana, fu nominato il cardinal Howard, per deferenza verso il Governo inglese, col quale la Santa Sede aveva riannodate relazioni ufficiose.

Anche la corte aveva fatto una perdita dolorosa, con la morte del conte Castellengo, e il patriziato romano una pure con la morte immatura di don Bosio Sforza-Cesarini, conte di Santa Fiora, uomo di nobile carattere e amato da tutti. Vecchissimo morì anche quell’anno un altro patrizio, che aveva abbracciato le idee radicali. Intendo parlare del generale Filippo conte della Rovere.

Sul finire del 1881 fu nominato sindaco il conte Pianciani, che destava in molti giusti timori per il poco ordine che aveva lasciato altra volta in Campidoglio, ma al quale si riconosceva una grande attività adatta per portare a termine i tanti lavori iniziati. Dalla Giunta fu accolta male la sua nomina ed essa si dimise in massa.

In quell’autunno fu tenuto in Roma il VII congresso dei medici comunali; notevolissima in quel congresso fu la lettura della memoria del professore Scalzi sulla salubrità delle grandi città, e specialmente di Roma.

Il Baccelli al ministero faceva di tutto per dare importanza e maestà agli studi. Egli condusse il Re ad assistere a una lezione dell’Università; condusselo alla distribuzione delle medaglie per la gara d’onore al Collegio Romano; fece inaugurare dai Sovrani l’esposizione dei bozzetti per il monumento a Vittorio Emanuele. Egli non perdeva di vista le riforme vagheggiate e intanto riordinava su nuove basi la Giunta Superiore di Belle Arti, si occupava di rintracciare le costruzioni intorno al Pantheon e dava incremento alla Biblioteca Vittorio Emanuele, istituendo la sala di lettura per i periodici, costruendo l’aula terrena nell’antico refettorio dei Gesuiti, e nominando bibliotecario Domenico Gnoli; il ministro creava pure la scuola tecnica Giulio Romano. Egli era sicuro per un certo tempo di rimanere al suo posto, perché il Governo erasi molto rafforzato sul finire dell’anno e quella sicurezza gli faceva spiegare una grande attività.