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subito, nacque una zuffa fra loro e i 150 adunati, e le guardie fecero 26 arresti, fra cui quello di un certo Ferrari, che aveva gridato contro il colonnello austriaco, volendo designare il Re.
Tutto questo turbava gli animi tanto più che si sapeva che l’agitazione per Oberdank non era limitata a Roma, ma si era estesa in tutta l’Italia, e i fautori ne erano gli Irredentisti e molti altri guadagnati a quella causa dalla uccisione di Oberdank. Il Depretis reprimeva quanto più poteva, ma lasciava fiorire i circoli; peraltro negava di consegnare all’Austria i due complici del giustiziato, perchè l’accusa che pesava su di loro non era di quelle di delitto comune, ma politico.
L’elezione di Coccapieller non era stata ancora convalidata, ma lo strano tribuno fece parte della commissione parlamentare, che andò a portare gli augurj al Re per il primo dell’anno. All’ultima mostra di Milano Coccapieller aveva esposto un freno per fermare immediatamente, come egli diceva, tutti i veicoli ; il Re lo aveva veduto e nel rivolgergli la parola, come usa fare ad ogni deputato, glielo rammentò. Checco, da quella cortesia reale acquistò baldanza nell’Ezio II, ma quando il presidente della Camera propose fosse convalidata l’elezione Coccapieller, il colonnello Majocci non si lasciò intimorire e sorse a parlar contro, dicendo che la Camera, nel convalidare le elezioni non solo doveva tener conto della regolarità di esse, ma doveva pure ispirarsi ad un alto principio di moralità, che il Coccapieller aveva violato, facendosi eleggere con mezzi non buoni; che il Coccapieller non aveva potuto mai esser ammesso nell’esercito, che un distinto patriota non s’era voluto batter con lui, e se a Roma era riuscito eletto, dovevalo soltanto alla convinzione che si fosse voluto assassinare per impedirgli di far rivelazioni di una certa gravità. L’on. Majocchi aggiunse che Coccapieller si era imposto a Roma, mercè una stampa diffamatrice, e chiese che la Camera nella risoluzione che stava per prendere, tenesse conto della morale.
Molto più disse il Majocchi di quanto ho riferito, eppure il Coccapieller non fiatò, benchè avesse stampato più volte che alla Camera riserbavasi di strappare tutte le maschere. Ma egli era altrettanto timido nel parlare quanto audace nello scrivere, e fino dal primo momento aveva capito che in quell’aula ove sedevano uomini eminenti, i suoi spropositati discorsi senza capo nè coda avrebbero stranamente risuonato.
Ma pochi giorni dopo il falso tribuno si fece vivo. L’on. Bertani aveva rivolta una interpellanza fino dal 15 dicembre, circa alle cause che più volte, e specialmente negli ultimi mesi, avevano perturbato Roma. Dichiarò di parlare a nome proprio, e chiese un po’ di luce sui fatti che avevano acquistato il carattere di guerra civile e avevano spinti i generali Cerotti e Lopez, e il senatore Mamiani a protestare col ministro di Grazia e Giustizia contro una stampa liberticida. L’on. Bertani, posto su questa china, fece notare che la tolleranza del ministro dell’interno poteva far supporre una certa acquiscienza. Voleva che i dubbii si fossero deleguati, tanto più che il paladino degli odii, che dividevano i romani in due campi, era stato eletto con splendida votazione.
Coccapieller non potè più tacere e annunziò di aver mandato una domanda alla presidenza, perchè si facesse una inchiesta sul suo passato, ma se si faceva per lui, voleva si facesse anche per gli altri, e con quel suo linguaggio spropositato, che moveva le risa momentaneamente quando chi rideva poteva dimenticare come fosse caduta in basso Roma con quella elezione, continuò a minacciare di rivelazioni, ad accusare molti, e ad atteggiarsi a vindice della moralità. L’on. Bertani voleva che la sua mozione fosse discussa subito, ma su proposta dell’on. De Zerbi fu rimandata a tre mesi per non intralciare i lavori parlamentari.
Poco dopo incominciarono i processi di diffamazione contro il tribuno. Sette se ne discutono