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partì un grido: «il Re!» Infatti il Sovrano avendo veduto dalle sue finestre un gran chiarore, era accorso, e la sua presenza bastò a spronare i vigili e i soldati a lavorare con maggior speditezza. Il Re si trattenne un’ora parlando con i due fratelli Odescalchi e col marchese Caracciolo di Bella, che abitava nel palazzo in fiamme, e non si allontanava altro che quando il pericolo che l’incendio si estendesse era scongiurato.

L’incendio del palazzo Odescalchi produsse gravi dissensi in seno al Consiglio comunale, perchè l’assessore Grispigni, facendosi interprete del biasimo per il corpo dei vigili, che era espresso dalla popolazione e dai giornali, propose che si nominasse una commissione per fare una inchiesta sul cattivo funzionamento del servizio incendi. Il duca Torlonia aveva già nominato la commissione e nacque fra i consiglieri un vivo battibecco, che il Vitelleschi riuscì a calmare facendo votare un suo ordine del giorno meno severo di quello del Grispigni per la Giunta.

Il Consiglio deliberò d’urgenza la costruzione di un grande edificio scolastico nel quartiere del Castro Pretorio fra la via Gaeta e la via Montebello, perchè gli abitanti di quelle vie facevano replicate lagnanze per la mancanza di una scuola comunale in quei dintorni. Era il secondo edifizio scolastico che in poco volger di tempo l’assessore per la pubblica istruzione faceva votare con l’intendimento di assegnare alle scuole locali igienici, che mancavano assolutamente in passato.

Il giorno 13 gennaio moriva il principe don Francesco Pallavicini, che era stato il primo sindaco di Roma ed era, al momento della morte, presidente della Congregazione di carità e dell’asilo dei ciechi «Margherita di Savoia». Il duca Torlonia ne encomiò in Consiglio i meriti e le virtù, e tutti i consiglieri presenti dissero parole affettuose. Il principe morendo aveva ordinato che il suo corpo fosse cremato; la famiglia non credè conveniente rispettare quella volontà, e alcuni giornali, forse istigati dalla società di cremazione, sbraitarono, senza rammentarsi il precedente di Garibaldi. La questione si fece grossa, e poi, a poco a poco, dopo che ognuno ebbe detta la sua, non se ne parlò più, perchè tanti altri fatti accaddero, come sempre avviene, che maggiormente attrassero l’attenzione del pubblico; fra i più note voli quello del suicidio delle sorelle Mary e Matilde Romako, che si erano uccise insieme con l’ingegnere Armoni, in una camera in piazza Rosa. Quelle due belle fanciulle viennesi, che solevano passeggiare sul Corso con i lunghi capelli fluenti sulle spalle, erano molto note a Roma, ove anche il padre, molti anni prima, si era acquistata una certa fama come pittore, e nel 1870 era stato uno dei primi ad andare incontro ai nostri soldati. Quel suicidio al quale le due belle ragazze e l’amante di una di esse erano stati spinti dalla miseria, destò un senso di raccapriccio, tanto più che i giornali descrissero minutamente l’esistenza delle Romako, il luogo ov’erano state trovate morte, e l’ultima cena di cui in camera si vedevano ancora gli avanzi.

Il Principe di Napoli partiva il giorno 7 da Roma per Livorno insieme col colonnello Osio, col maggiore Morelli, col capitano Brancaccio, col medico Bocca e due familiari. Il «Savoia» che già era ad attenderlo, doveva, prima di volger la prua verso Oriente, toccare Gaeta, perchè il 1° reggimento fanteria era appunto di guarnigione in quella città, e il Principe ereditario non poteva allontanarsi d’Italia senza essersi presentato al suo colonnello. A Livorno fu fatta al Principe accoglienza veramente affettuosa, e durante la visita a Gaeta si formarono già quei rapporti cordiali fra lui e gli ufficiali del suo reggimento, che si sono dipoi sempre mantenuti.

Per la commemorazione del 9 gennaio al Pantheon fu inaugurata la grande lapide bronzea che orna la tomba del Gran Re. Le linee severe di quella tomba piacquero, e i Sovrani encomiarono l’ingegnere Manfredi, che l’aveva disegnata.