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uscendo e mettendosi le mani nei capelli disse che certo qualcuno doveva averlo fatto cambiare d’opinione nella notte, perchè ora non voleva far parte della Giunta se la nomina non veniva da Firenze. Mentre parlavano così Masi e Montecchi, Volpicelli uscì correndo dal quartiere del duca ove li fece rientrare. Il Masi ribatteva calorosamente le difficoltà avanzate dal duca e per il comizio e per le persone di sentimenti repubblicani che erano nella lista. Montecchi dette tutte le spiegazioni e il duca arrendendosi disse: «A me già non fanno paura i repubblicani, come non mi ha mai fatto paura nessuno, nemmeno il Governo del Papa».

Il Montecchi lesse la lista dei 42 nomi, e il duca di Sermoneta l’accettò, purché vi si aggiungessero due nomi, cioè quello di Augusto Ruspoli e del conte Bosio di Santa Fiora.

All’una dunque, pochi istanti prima del comizio al Colosseo, fu approvata la lista dei nomi dal Cadorna, dal Masi e dal duca di Sermoneta.

Il comizio si adunò alle 3 e aveva per presidente il Montecchi, e per segretario il marchese del Gallo, già emigrato, il quale stava seduto sotto il pulpito tenendo fra le gambe un bandierone tutto nuovo. Il Montecchi parlò bene e raccomandò l’ordine ai seimila adunati.

Il popolo approvò la lista, e dopo il Carancini propose un indirizzo di ringraziamento al Re, ai ministri, all’armata e alla flotta, che fu votato.

Terminato il comizio, il Montecchi andò dal Masi, il quale era tutto convulso perché il Cadorna non voleva più riconoscere quanto erasi fatto, e voleva nominar da sé la Giunta.

La mattina seguente infatti si leggevano affissi alle mura di Roma i nomi dei componenti la Giunta del Cadorna, ed erano i seguenti:

Don Michelangelo Gaetani, duca di Sermoneta, presidente; principe Francesco Pallavicini, duca Slorza-Cesarini, Emanuele dei principi Ruspoli, principe Baldassare Odescalchi, Ignazio Buoncompagni, dei principi di Piombino, avv. Biagio Placidi, avv. Vincenzo Tancredi, Vincenzo Tittoni, Pietro De Angelis, Achille Gori-Mazzoleni, Felice Ferri, Augusto Castellani, Alessandro del Grande, Filippo Costa-Castrati, Avv. Raffaele Marchetti.

Quando Montecchi e Costa andarono al Campidoglio, lo trovarono occupato militarmente, e si negò loro di accedervi; essi protestarono per mezzo di notaro.

II 24 alle 2 e mezzo il general Cadorna insediava la Giunta Provvisoria. Alla funzione assisteva una gran folla di popolo soddisfatto di uscire alfine dalle incertezze e di sapere che Roma aveva un governo, ma subito appena liberata la città, gli attriti fra i partiti si acuivano e più che mai si scavava un abisso fra loro, poiché dalle faccende dell’amministrazione erano escluse tutte quelle persone, che professavano idee repubblicane, e avevano avuto attinenza con Mazzini e col partito d’azione.

Dopo che il general Cadorna ebbe insediata la Giunta Provvisoria, il presidente, duca di Sermoneta, ringraziò il Re e l’esercito a nome di Roma, di quella Roma - egli disse - «che non è della rivoluzione, né della servitù». La Giunta allora si alzò acclamando al Re.

Le parole del venerabile presidente non erano una frase rettorica. Il Cadorna avrebbe dovuto, prima d’entrare a Roma provvedere alla costituzione della Giunta, per risparmiare alla città le ansie di trovarsi senza governo, e il pericolo di esser governata, anche brevemente, dagli uomini della rivoluzione, dai superstiti della potente associazione mazziniana del 1850. È vero che molti di quegli uomini o si erano convertiti alle idee monarchiche, come il Checcatelli, o si erano fatti nell’esilio meno ardenti, come Filippo Costa-Castrati e il Montecchi. Uno di quei cospiratori del 1850, complicato in un clamoroso processo nel 1853, e condannato all’ergastolo, mi assicurava che è vero