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A Tor di Quinto in quel tempo vi furono le corse militari, che riuscirono belle e attirarono la folla elegante.

Nel seno della Società fra i Cultori e Amatori di Belle Arti, fino dall’anno precedente, si era verificata una profonda scissura per il criterio che guidava molti artisti nell’ammettere alle mostre annuali le opere di pittura e scultura, ma di pittura specialmente. Diversi artisti, più rigidi nella scelta, si staccarono dal gruppo principale, e formarono la società della «In Arte Libertas» e fecero una esposizione separata al palazzo delle Belle Arti. Fra i secessionisti vi erano Giovanni Costa, l’Hébert, il conte Lemno Rossi-Scotti, Nino Carnevali, il Sartorio e altri, e la loro mostra, benchè più ristretta, riuscì più importante dell’altra.

Fra divertimenti carnevaleschi, esposizioni e conferenze, si pensava poco alla malattia che affliggeva Roma, ma essa così alla chetichella empiva gli ospedali, teneva a letto molta gente e quando presentavasi in forma acuta e trovava organismi indeboliti, mieteva pure molte vittime, come aveva fatto l’anno precedente.

La chiamavano i medici col nome generico «d’Influenza», ma prendeva forme varie e attaccava ora i polmoni, ora gl’intestini, ora altra parte del corpo, producendo anche paralisi. Essa fu fatale all’ammiraglio Ferdinando Acton, già Ministro della marina, che soccombè nel palazzo Odescalchi, e ad Agostino Magliani, già ministro delle Finanze, che spirò nel palazzo Berardi. I funerali di questi due uomini, che avevano occupato cariche così alte nel governo del paese, furono fatti a spese dello Stato e con molta pompa.

Morì anche il professor Lignana, che era una delle illustrazioni dell’Ateneo romano, della fatale malattia.

Andato appena Nicotera al potere ricominciarono i comizii. Uno di operai disoccupati fu tenuto in piazza Dante, all’estremità del quartiere dell’Esquilino, confinante con quello di San Lorenzo, dove si era rifugiata tanta miseria fecondatrice d’idee sovversive, ma in quel comizio non avvennero disordini. Però la città non era tranquilla, perchè si sapeva che il presidente del Consiglio era in balia dei radicali e non avrebbe potuto usare all’occorrenza quella severità nell’impedire moti inconsulti, di cui aveva dato prova il suo predecessore.

Il 2 marzo l’on. Luigi Luzzatti fece la nuova esposizione finanziaria. Anch’egli si occupò del problema bancario, accennando alla necessità che gli istituti purgassero il loro portafoglio dai titoli e dalle cambiali, che paralizzavano ogni nuova operazione. Il ministro annunziò 36 milioni di nuove economie sulle spese effettive, 10 milioni di aumento sull’entrata e un alleggerimento di 19 milioni per il bilancio sulle spese ferroviarie.

Il Biancheri, secondo le consuetudini parlamentari, aveva date le dimissioni da presidente della Camera; l’on. di Rudinì propose che non fossero accettate, e la Camera le respinse.

La guerra contro il Gabinetto fu iniziata subito dall’on. Zanardelli, il quale accusò i nuovi ministri di appartenere a quel partito, che aveva combattuto tutte le riforme, e alla votazione per la nomina dei commissari per il bilancio apparve la debolezza del Ministero.

Sul programma della politica estera si ebbe agio subito di conoscere le idee del presidente del Consiglio. L’on. Luigi Ferrari avevalo interrogato per sapere in qual senso interpretava l’articolo 5° dello Statuto, rispetto all’alleanze. L’on. di Rudinì rispose che i trattati d’alleanza non richiedevano l’approvazione del Parlamento, e accennando alla triplice, aggiunse, che egli intendeva mantenersi fedele a quelle esistenti, e coltivare cordiali relazioni con la Francia.

L’Africa dava sempre da fare all’Italia. Alla fine di febbraio era partito in missione l’on. Me-