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Senza quella sfuriata l’on. Crispi avrebbe potuto conservare lungamente il Governo, ma essa fu la sua rovina, e fu un male anche per il paese. L’ex-presidente del Consiglio ebbe subito una grande soddisfazione che lo compensò in parte della sconfitta patita: lord Dufferin, ambasciatore d’Inghilterra, gli comunicò a nome di lord Salisbury, capo del gabinetto di Saint-James, i ringraziamenti per le prove d’indiscutibile amicizia date all’Inghilterra durante il suo Ministero.

Il 9 febbraio fu annunziata alla Camera la composizione del nuovo gabinetto. L’on. di Rudinì ne assumeva la Presidenza e gli Esteri, Giovanni Nicotera l’Interno, Luigi Luzzatti il Tesoro, l’on. Colombo le Finanze, il senatore Ferraris la Grazia e Giustizia, il senatore Pasquale Villari l’Istruzione Pubblica, l’on. Branca i Lavori Pubblici, l’on. Chimirri l’Agricoltura e Commercio e aveva pure l’interim delle Poste e Telegrafi. Alla Guerra andava il generale Luigi Pelloux. Qualche giorno dopo l’ammiraglio Saint-Bon era nominato ministro della Marina e sceglieva a sottosegretario di Stato l’ammiraglio Corsi; nella stessa qualità il conte d’Arco andava alla Consulta, e l’onorevole Pietro Lucca a palazzo Braschi.

Appena insediato il nuovo Ministero, scoppiarono disordini a Palermo, e si vide allora verificarsi un fatto abbastanza curioso. In seguito a quei disordini il prefetto Winspeare e il sindaco, marchese Ugo delle Favare, avevan dato le dimissioni. Il Nicotera pregò il Crispi d’invitarli a rimanere al loro posto. L’on. Crispi annuì a quel desiderio e telegrafò ai due funzionari, i quali non seppero negargli il favore richiesto.

Appena il nuovo Ministero si presentò alla Camera, l’Imbriani disse che esso aveva tutti i colori dell’iride, come già l’on. Nicotera aveva detto al Crispi quando presentava il suo.

Il Ministro dell’interno ritirò subito il progetto sulle prefetture, il catenaccio sugli spiriti e altre leggi di minore importanza, e quindi la Camera si prorogò per dar tempo ai nuovi ministri di preparare il lavoro.

In quell’inverno ebbero una singolare importanza le conferenze che illustri oratori facevano ogni anno a cura della «Società per l’istruzione della Donna». Con felice pensiero era stato stabilito dalle signore patronesse di quella società, che le conferenze, affidate ad uomini insigni, benchè indipendenti fra loro, svolgessero tutte il grande quadro dell’antica vita di Roma. Cosi parlò il Lanciani dei Re; il senatore Pierantoni tratteggiò la figura dell’avvocato; il Barzellotti fece una conferenza su Virgilio; due il Bonfadini su Giulio Cesare; due il Bonghi, una sul Paganesimo e l’altra sul Cristianesimo; una il Villari, prima di salire al ministero, e una l’Helbig.

Queste conferenze si facevano il giovedì; e l’aula del Collegio Romano non è stata mai più affollata che in quell’anno di un pubblico intelligentissimo. Altre se ne tenevano la domenica, su argomenti varii, e gli oratori erano il Panzacchi, il Masi e il Fredaletto.

Conferenze meno dotte, ma efficacissime, tenne pure in quell’inverno monsignor Scalabrini nella chiesa di Sant’Andrea della Valle, sulle nostre colonie d’America. Lo Scalabrini aveva fondato a Piacenza un istituto per istruire i missionari da spedirsi in quelle colonie, e un altro per gli emigranti, e qui cercava di raccogliere offerte per la benefica opera sua.

Il carnevale fu assai animato in quell’anno per i balli, per i divertimenti in piazza del Popolo, dove era stato eretto un anfiteatro greco-romano e si facevano corse di cavalli romani, che appassionavano il popolo, e per i molti veglioni. Nel posto ove sorgeva prima il palazzo Piombino sul Corso, era stato edificato un padiglione, detto dell’Allegria, che suscitò le satire dei romani; ma bene o male, il carnevale ebbe un fittizio risorgimento e dette un po’ d’aiuto alle classi povere.