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popolani ed ex-gendarmi, e sarebbe probabilmente corso di nuovo se il popolo scendeva nelle vie dopo tanti eccitamenti.
L’inchiesta fatta dal «Circolo Cavour» sugli istituti di Roma diretti da religiosi o religiose, e la petizione mandata al Governo, portava i suoi effetti. Appena lo Scialoja andava al Ministero della Pubblica Istruzione ordinava che le alunne e gli alunni che si trovavano colà, e frequentavano le scuole delle suore in via dell’Arancio, della Divina Provvidenza a Ripetta, dell’Opera Pia delle Serve in via degli Ibernesi e delle Scuole Pie in Borgo, fossero rimandati a casa e gl’istituti fossero temporaneamente chiusi, non avendo voluto ricevere l’ispezione scolastica. Bastò quel decreto ministeriale, perchè l’ispezione scolastica fosse accettata da tre di quegli istituti, e siccome si capiva che il Governo non avrebbe permesso che insegnasse chi non aveva patente normale, così 90 monache di diversi ordini, frequentavano ogni giorno le lezioni dell’Ennio Quirino Visconti per ottenere quella patente e molte chiesero al Ministro di essere esaminate nei conventi. Il quarto degli istituti ribelli, quello della Divina Provvidenza a Ripetta, fu chiuso e ne prese possesso il Municipio. Questo fatto dette luogo a una protesta del Cardinal Vicario, come la rappresentazione della Monaca di Cracovia, dei Misteri della Inquisizione, del Fra Paolo Sarpi e di altri drammi di quel genere provocò una lettera dello stesso Cardinale al Lanza, e una risposta del presidente del Consiglio. Ma Roma non voleva altre rappresentazioni e lo stesso Cesare Rossi per empire il teatro doveva piegarsi alle esigenze del pubblico.
Ho parlato della mania delle lapidi. A quelle già citate aggiungo che ne furono poste alle case abitate dagli Zuccari in via Sistina, da Vincenzo Monti, dal Leopardi. Non si poteva dimenticare Galileo e la lapide doveva esser posta sulla Villa Medici, ove il grande scienziato trovò rifugio presso l’Ambasciatore di Firenze. Ci voleva il permesso del Governo francese, e il signor Fournier pregò il signor Venturi, funzionante da sindaco, che dispensasse il suo Governo dall’accordargli quel permesso. Come fosse risolto quell’incidente, lo dice il luogo ov’è collocata quella lapide: essa non fu murata nel palazzo Medici, ma all’ingresso del Pincio, ov’è tuttora.
Le commemorazioni del 20 settembre e del 2 ottobre si erano compiute pacificamente. In occasione di quest’ultima il Re era a Roma ed ebbe una calorosa dimostrazione d’affetto dal popolo memore. I rioni Monti e Borgo specialmente dimostrarono la loro gioia di sentirsi liberi e uniti sotto l’egida della monarchia di Savoia. Anche la commemorazione di Mentana passò senza incidenti, perchè non vi fu chi protestasse contro i gridi sediziosi. In quel giorno si riunirono le ossa disperse dei caduti.
Ma i rossi, imbaldanziti dal comizio all’«Argentina», smaniosi di affermarsi, idearono un nuovo comizio al Colosseo per proclamare il suffragio universale. Di quel comizio si fece organo un giornale diretto da Raffaele Erculei, che s’intitolava appunto il Suffragio Universale, giornale cortese nella forma, come chi lo dirigeva, ma sovversivo per le idee. Esso fece capire che il suffragio universale non era lo scopo principale del Comizio, esso mirava ben più alto, e all’esempio della Francia, voleva rovesciere la monarchia, proclamare la sovranità popolare, e affermare la necessità di una costituente. Il giornale fu processato e condannato alle Assise, il Lanza proibì il Comizio, e per questo vi fu una interpellanza alla Camera del deputato Ferrari, e il prefetto Gadda mise sotto le armi la guardia nazionale e dispose le truppe al Campidoglio e in altri punti della città. Molti repubblicani e internazionalisti, dietro l’invito del Comitato del Comizio, firmato anche dal Cairoli, erano venuti a Roma, e il Governo fece atto provvido premunendo la città da disordini. Il loro intendimento, dopo sciolto il Comizio era di ritirarsi, come gli antichi Romani, sul Celio e di andare a Montecitorio a portare il voto popolare.