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Pagina:Eneide (Caro).djvu/153

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112 l’eneide. [195-219]

195De’ Coribanti, indi la selva Idea,
E quel fido silenzio, onde celati
Son quei nostri misteri, e quei leoni
Ch’al carro de la Dea son posti al giogo.
Di là dunque veniamo e là vuol Febo
200Che si ritorni. Or via seguiamo il fato:
Plachiamo i venti, e ne la Creta andiamo,
Che non è lunge; e se n’è Giove amico,
Anzi tre dì n’approderemo ai liti.
     Ciò detto, a ciascun dio, come conviensi,
205Sacrificando, due gran tori occise:
E l’un diede a Nettuno e l’altro a Febo:
Una pecora negra a la Tempesta;
Al Sereno una bianca. Era in quei giorni
Fama, che Idomenèo cretese eroe,
210Da la sua patria e da’ paterni regni
Era scacciato; onde di Creta i liti
D’armi, di duce e di seguaci suoi,
Nostri nimici, in gran parte spogliati,
Stavano a noi senza contesa esposti.
     215Tosto d’Ortigia abbandonammo i porti;
Trapassammo di Naxo i pampinosi
Colli, e Bacco onorammo: i verdi liti
Di Donúsa, e d’Olëaro varcammo:
Giungemmo a Paro, e le sue bianche ripe


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