Pagina:Eneide (Caro).djvu/156

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[270-294] libro iii. 115

270Mi confortaro: Quel che Apollo stesso,
Se tornaste in Ortigia, a voi direbbe,
Qui mandati da lui vi diciam noi:
E noi siam quei che dopo Troia incensa
Per tanti mari, a tanti affanni teco
275N’uscimmo, e te seguiamo e l’armi tue.
Noi compagni ti siamo, e noi saremo
Ch’a la nova città, che tu procuri,
Daremo eterno imperio, e i tuoi nipoti
Ergeremo a le stelle. Alto ricetto
280Tu dunque, e degno de l’altezza loro,
Prepara intanto; e i rischi e le fatiche
Non rifiutar di più lontano essiglio.
Cerca loro altro seggio; ergi altre mura
Vie più chiare di queste: chè di Creta
285Nè curiam noi, nè lo ti dice Apollo.
     Una parte d’Europa è, che da’ Greci
Si disse Esperia, antica, bellicosa
E fertil terra. Dagli Enotri cólta,
Prima Enotria nomossi: or, com’è fama,
290Preso d’Italo il nome, Italia è detta.
Quest’è la terra destinata a noi.
Quinci Dardano in prima e Iasio usciro;
E Dardano è l’autor del sangue nostro.
Sorgi dunque e riporta al padre Anchise


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