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Pagina:Eneide (Caro).djvu/157

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116 l’eneide. [295-319]

295Quel ch’or noi ti diciam, chè diciam vero:
E tu cerca di Còrito e d’Ausonia
L’antiche terre, chè da Giove in Creta
Regnar ti s’interdice. Io di tal vista,
E di tai voci, ch’eran voci e corpi
300De’ nostri Dei, non simolacri e sogni
(Chè ne vid’io le sacre bende e i volti
Spiranti e vivi), attonito e cosperso
Di gelato sudore, in un momento
Salto dal letto; e con le mani al cielo
305E con la voce supplicando, spargo
Di doni intemerati i santi fochi.
Riveriti i Penati, al padre Anchise
Lieto mèn vado, e del portento intera-
mente il successo e l’ordine gli espongo.
310Incontinente riconobbe il doppio
Nostro legnaggio, e i due padri e i due tronchi
De’ cui rami siam noi vette e rampolli;
E d’erro uscito, Ora io m’avveggio, disse,
Figlio, che segno sei de le fortune
315E del fato di Troia, e ciò rincontro
Che Cassandra dicea: sola Cassandra
Lo previde e ’l predisse. Ella al mio sangue
Augurò questo regno; e questa Italia
E questa Esperia avea sovente in bocca.


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